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            Tangent di Andy Tillison (Parallel Or 90 Degrees) hanno preso il volo 
            e stanno andando sempre più in alto, nel 2003 il debutto con 
            una parata di stelle, il bis l’anno successivo, un ottimo live 
            lo scorso anno (anche se distribuito solo via internet) ed ecco all’inizio 
            del nuovo anno il terzo capitolo della loro avventura, questo bellissimo 
            A Place in the Queue.
 La formazione è in parte cambiata, alle chitarre non c’è 
            più Stolt, ma Krister Jonsson che abbiamo incontrato nel secondo 
            Karmakanic, alla batteria invece Jaime Salazar (ex the Flower Kings), 
            per uno strano scherzo del destino, sostituisce Zoltan Csorsz (ex 
            the Flower Kings), mentre il talentuoso bassista Reingold resta al 
            suo posto così come amici dei PO90 e Theo Travis.
 
 Questo nuovo album non è un concept come i precedenti anche 
            se ha un tema dominante, mentre musicalmente è un mix di varie 
            influenze, molte delle quali sono già emerse nei lavori precedenti, 
            come l’amore di Tillison per il Canterbury e le sue visioni 
            acide, fra aperture neoclassiche e la voglia di sperimentare passaggi 
            musicali in completa libertà espressiva, senza disdegnare passaggi 
            decisamente rock. Questa libertà si respira a pieni polmoni 
            fin dall’introduttiva suite “In Earnest” con il 
            nostro che propone delle tastiere epiche e ridondanti, fra Wakeman 
            ed Emerson. Come resistere ai richiami nostalgici di “Lost in 
            London”, con le incantevoli divagazioni di Travis e un flawour 
            che più inglese non si può? La prima parte da sola vale 
            l’acquisto del disco, ma poi le visioni canterbouriane prendono 
            il sopravvento in una vertigine di sensazioni. Grande jazz rock nella 
            breve ma intensa “DIY Surgery”. Mentre gli amanti del 
            prog più classico andranno in brodo di giuggiole con l’ironica 
            “GPS Culture”. Grande groove in “Follow Your Leaders”, 
            ai limiti del funky, Reingold fa scintille. Ma “The Sun In My 
            Eyes” spiazza veramente con il suo sapore disco da anni settanta, 
            divertente. Ma la stoccata finale arriva con i venticinque minuti 
            della conclusiva traccia omonima, una sberla a tutti quelli che pensano 
            che il prog sia morto e sepolto con gli anni settanta.
 
 I Tangent si confermano come una delle più belle ed appaganti 
            realtà del prog del nuovo millenio e sfido chiunque a dimostrare 
            il contrario. Grazie Andy! GB
 
 Altre recensioni: The Music That Died Alone; 
            The World That We Drive Trough; 
            Comm;
 Pyramids and Stars; Going 
            Off On One; 
            Not As Good As The Book; 
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            Sacre du Travail
 
 Intervista: 2003
 
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 Artisti collegati: Parallel Or 90 Degrees; Flower Kings
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