Rock Impressions

PISTOIA BLUES 2013 – Black Crowes, Van Der Graaf Generator, Steven Wilson, J27, Meez Pheet
di Giancarlo Bolther

Pistoia Blues 2013


Il Pistoia Blues quest’anno è giunto alla 34esima edizione ed è davvero da tanto che desideravo potervi partecipare, finalmente mi sono potuto godere due serate del prestigioso festival, anche se non è mancata una punta di rammarico per essermi comunque perso due fra i miei chitarristi blues più cari, Robben Ford e Robert Cray, ma si sa che non si può avere tutto e già sono contento di come sia andata.

Lo scenario merita sicuramente una menzione, Pistoia è uno dei tanti gioielli della nostra bella penisola, con le sue radici saldamente radicate nel medioevo, un epoca ancora tanto presente nel nostro paese e che spunta continuamente da vicoli e piazze, da chiese e palazzi, una splendida immersione nella storia immortale. Una cornice così carica di contenuti non può che essere un’ottima scelta per celebrare un evento come il Pistoia Blues, perché la musica è da sempre una delle prime e più universali forme d’arte dell’umanità tutta e quindi non deve meravigliare l’accostamento di storia e modernità, perché negare un legame tra passato e presente sarebbe come non avere radici.
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Giovedì 4 Luglio - THE BLACK CROWES
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The Black Crowes

La prima serata a cui ho partecipato vedeva in cartellone gli americani Black Crowes (di Atlanta e non è un dettaglio), che sono una band con un solidissimo background, eredi della migliore tradizione delle jam band stanno per compiere trent’anni di carriera e hanno venduto qualcosa come 35 milioni di dischi, la loro fama è dovuta ad essere stati fra i primi a cavalcare il revival degli anni ’70, ma non sono certo una band molto originale. Uno dei loro momenti di gloria maggiore è stata la pubblicazione del Live at the Greek (1999), che ha visto la partecipazione del leggendario Jimmy Page. Il sestetto è capitanato dai fratelli Chris (voce) e Rich (chitarra) Robinson, del resto della band poco è rimasto di originale, il batterista Steve Gorman è il più longevo ed è quasi sempre stato presente, il bassista Sven Pipien va e viene in continuazione, il secondo chitarrista Jackie Greene è una new entry, mentre il tastierista Adam MacDougall collabora da circa sei anni. Quindi è un gruppo un po’ a fisarmonica, ma è tipico delle jam band e della filosofia che ci sta dietro.
Questa band gode del convinto consenso di buona parte della critica e di un pubblico molto affezionato, che li segue con amore ad ogni data e quindi ero piuttosto curioso di vederli all’opera su un palco.

L’esibizione del sestetto è da manuale, il gruppo propone una set list basata di classici e di brani meno noti, come da tradizione, pare non abbiano mai ripetuto due volte la stessa scaletta, così ascoltiamo versioni coinvolgenti di “Good Friday”, “Wiser Time” e la toccante “She Talks to Angels”, curiosa la cover di “Medication Goo” dei Traffic. Chris è il vero catalizzatore del gruppo, è simpatico, sa stare sul palco come pochi e vive la musica, il pubblico è come ipnotizzato dal suo carisma, un rocker che non fatica a farsi amare e questo secondo me spiega molto del successo della band. L’altro fratello invece mi ha quasi sconcertato, la sua performance alla chitarra è stata oltremodo piatta, in molti momenti sembrava quasi si stesse chiedendo che cosa ci stava a fare li e le foto che ho scattato credo rendano bene quest’idea, sinceramente ho sentito tanti di quei chitarristi più coinvolgenti, che ero quasi imbarazzato. Non parliamo poi del tastierista che era davvero sconfortante, nel momento dell’assolo non credevo alle mie orecchie, mi spiace essere così drastico, ma era inascoltabile. Monocorde il batterista, non ha fatto niente che non fosse il minimo sindacale, avanti tutta con tempi semplici e lineari, nessun brivido. Altro discorso per il bassista, che invece ha fatto scintille, il suo lavoro mi ha entusiasmato e coinvolto davvero tanto, una performance pazzesca, anche se qualcuno mi ha fatto notare che quando si nota tanto il bassista è perché gli altri non ti dicono nulla. Buona anche l’esibizione di Greene, che ci ha messo molta più anima nel suonare, non è un super virtuoso e nemmeno un mostro, ma almeno ha suonato con passione e coinvolgimento, raggiungendo abbondantemente la sufficienza. I Black Crowes hanno dei bei brani, ci sono ottimi momenti nella loro musica e il cantante è un ottimo interprete, però non so se era la serata sbagliata, ma la loro esibizione mi ha lasciato veramente poco da un punto di vista tecnico emotivo, insomma sembrava molto un compito svolto bene, ma senza tanto impegno.
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
The Black Crowes
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Venerdì 5 Luglio

MEEZ PHEET

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La seconda serata prevedeva ben quattro artisti (sinceramente visti i nomi in cartellone sarebbe stato meglio metterne almeno uno la sera prima, comunque…), il primo gruppo, i Meez Pheet è uscito da un contest guadagnandosi il diritto di calcare il palco del prestigioso festival, la band capitanata da una grintosissima e brava cantante di colore, ha proposto una scaletta di pezzi molto coinvolgenti, suscitando l’apprezzamento di parte del pubblico, che ovviamente non era li per ascoltare del blues, comunque la band è riuscita a fare una buona prova e non si è lasciata per nulla intimorire. Bravi.
Meez Pheet
Meez Pheet
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J27
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Altro discorso per i J27, una band locale, che sta tentando di farsi notare con numerosi live, recentemente abbiamo pubblicato la recensione del loro ultimo disco Generazione Mutante, che è stato prodotto niente meno che a Los Angeles. Il gruppo ha proposto un robusto hard rock cantato per lo più in italiano e se volete nemmeno loro erano in linea con la serata e in un certo senso questo è stato un peccato, perché il pubblico “prog” non è sicuramente un vero potenziale bacino per artisti come loro. Sul palco la cosa che si è notata di più è stata la simpatica aria da guascone del cantante, molto bravo a catalizzare l’attenzione di parte del pubblico, tra l’altro c’era anche un ristretto gruppo di fans presente proprio per loro (infatti se ne sono andati tutti subito dopo l’esibizione dei beniamini, sinceramente ho trovato la cosa abbastanza ingiustificabile, ma tipica dell’italiano medio che sembra incapace di confrontarsi con realtà diverse da quelle che ama solitamente seguire). La musica dei J27 è accattivante, ma non particolarmente innovativa, la band ci sa fare ed è ottima per chi ama un robusto rock, con una buona resa d’insieme e una buona amalgama e alla fine anche una parte del pubblico ha dimostrato di apprezzare, seppure un po’ timidamente.

Recensioni: Generazione Mutante
J27
J27
J27
J27
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VAN DER GRAAF GENERATOR
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Che dire di questa band immensa? Le emozioni erano davvero tante, i VDGG hanno scritto alcune delle pagine più belle di tutto il prog di sempre, originalissimi e sempre fuori dal coro hanno saputo mettere sullo spartito un connubio inimitabile di suggestioni dark e di rock altamente raffinato. Ovviamente Peter Hammill con la sua voce eccezionalmente bella e la sua forza visionaria è stato ed è tutt’ora la maestrale guida, l’artista totale del gruppo, ma gli altri non sono certo da meno. Certo vederli tanto invecchiati faceva un certo effetto, Hammill oggi è un compassato signore anziano, dall’aspetto fragile e quasi delicato, poi il tastierista Hugh Banton con la sua aria severa e quasi corrucciata e infine il batterista Guy Evans dall’aspetto ieratico e quasi teutonico, invecchiati si, ma che classe sanno ancora sfoderare quando suonano all’unisono. Se posso però sottolineare una cosa nel gruppo oggi c’è una grande e inspiegabile assenza… David Jackson, che tanto ha contribuito al sound della band, i VDGG senza di lui non sono la stessa cosa, lo abbiamo recentemente visto in tour con la Alex Carpani Band e ne abbiamo apprezzato ancora una volta la grandezza. Comunque David o meno i tre VDGG insieme sanno ancora come far tremare il cuore e lo hanno dimostrato con un concerto impeccabile. La scaletta vedeva non solo classici, ma anche pezzi recenti e brani di Peter solista, ci sono stati momenti di pura estasi con “Flight” e “A Plague of Lighthouse Keepers”, ma tutto il concerto è stato notevole, il sound era perfetto, fresco, penetrante, Hammill ha ancora una voce carismatica e ipnotica e alla fine del dell’esibizione, durata circa un’ora e venti, ho visto alcuni del pubblico piangere dall’emozione, mi chiedo quanti artisti dopo tanti anni siano ancora in grado di regalare emozioni così profonde?

Altri Live: 2005
Van Der Graaf Generator
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(le smorfie di Peter)
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Van Der Graaf Generator Van Der Graaf Generator
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STEVEN WILSON
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L’enfant prodige Steven Wilson sembra essere il più convincente alfiere del nuovo prog, l’unico musicista (e mi piace sottolineare che è inglese) che è riuscito a mettere d’accordo tutti, sia i vecchi che i nuovi fan del progressive, passato, presente e futuro del genere accomunati in un unico artista dall’aspetto controverso e dal carattere particolare, come potete misurare nella bella intervista che ci ha rilasciato proprio quest’anno. Il nostro sta ancora portando in tour il magnifico The Raven That Refused to Sing e la scaletta proposta a Pistoia non era tanto diversa da quella del concerto di Milano, ma rivedere Wilson all’opera è sempre un gran bel momento.

Si parte con la potente “Luminol”, il fotogenico bassista Nick Beggs si mette subito in mostra e ci regala un’altra esibizione pazzesca, non si risparmierà un solo momento durante tutto lo show. Wilson saltella continuamente in tutti gli angoli del palco e gioca a fare il direttore d’orchestra, incitando i compagni a dare il massimo. Si vede che il palco è il suo ambiente più congegnale e questo trasmette grande energia a tutti i presenti. Ottimo anche il connubio immagini e suoni, quasi fosse un post moderno “son et lumiere”, tutto a tinte molto dark, ma questo è Wilson e la sua arte è totalizzante, ogni dettaglio sembra far parte di un unicum, quasi fossero delle prove tecniche per una grande opera rock. Bellissima sempre “Drive Home”, mentre turba non poco la malsana “Index”, poi come non citare “The Watchmaker”, “The Holy Drinker” o la canzone che ha dato il titolo al disco… tutte perle eseguite con grande professionalità e intensità. Non mancano brani presi dai due dischi precedenti di Steven, mentre dei Porcupine viene riproposta solo “Radioactive Toy”. Brani lunghi, dilatati, carichi e soprattutto emozionanti. Il pubblico era inchiodato dallo stupore e dalla meraviglia. Con Wilson il futuro del prog è in ottime mani.

Recensioni: Insurgentes (dvd); Grace For Drowning; The Raven That Refused to Sing

Live report: 2013

Sito Web

GB
Steven Wilson
Steven Wilson
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