Rock Impressions

GLENN HUGHES + LIZARDS - Live in Bologna 19/03/05
di Giancarlo Bolther

Grande serata ieri sera all’Estragon di Bologna, locale un po’ piccolo per la verità e sicuramente Mr the Voice of Rock avrebbe meritato ben altro contesto, ma i tempi sono quelli che sono e l’accoglienza del pubblico è stata comunque degna.

L’onore di aprire le belligeranze è toccato al gruppo newyorkese dei The Lizards, la cui fama è dovuta più alla presenza di due ex di lusso che non per effettivi meriti artistici: dietro alla batteria siedeva Bobby Rondinelli (di cui vi ricordo solo Black Sabbath, Blue Oyster Cult e Rainbow, ma sono moltissimi i gruppi in cui ha militato), mentre alla voce e tastiere c’era Mike Di Meo (ex ugola dei riformati Riot). I Lizards sono un gruppo settantiano con un look piuttosto bizzarro se non ridicolo, il chitarrista sembrava uscito da un film di Scooby Doo, mentre il bassista aveva un pettinatura pressoché identica a quella degli Sweet. Il repertorio dei Lizards inizia con un trittico di canzoni hard blues che mi ha lasciato piuttosto indifferente, una brutta versione di quanto hanno fatto gruppi come gli Aerosmith et similia, poi il concerto ha subito una svolta decisa con i nuovi brani. Dall’hard blues si è passati ad un genere dark progressivo molto personale. La musica non era particolarmente entusiasmante in se stessa, ma le composizioni avevano il pregio di essere abbastanza originali, un po’ Black Sabbath e un po’ Porcupine Tree, con esclusione di “Hyperspace”, che era praticamente identica al brano “Buck’s Boogie” dei BOC, pregevoli però gli inserti di armonica ad opera di Randy Pratt. Ottimo e convincente, come sempre, il drumming di Bobby, notevole anche il lavoro di basso di Pratt, mentre ho trovato poco brillante il chitarrista Patrick Klein, molto efficace nella ritmica, con un groove terribilmente settantiano, ma molto poco originale negli assoli, scarsa tecnica e inventiva e inoltre gesticolava in modo spassoso. La voce di Di Meo è bella e anche come tastierista si è prodotto in un solo interessante. Il pubblico comunque ha risposto con entusismo alla loro esibizione.

Ovviamente il piatto forte era rappresentato da Glenn Hughes. Salgono sul palco il tastierista Kjell Haraldson, il batterista Thomas Broman e il chitarrista JJ Marsh, poi un boato accoglie l’ugola più passionale del circuito hard rock. Visti gli ultimi due titoli del catalogo di Glenn (Soulfully Live e Soul Mover) mi aspettavo un concerto soft, con grande spazio al repertorio più morbido e carico di feeling del nostro, invece mi sono trovato una set list così granitica da sbricolare anche i cuori più duri e sono andato letteralmente in visibilio. Glenn attacca proprio con la nuova “Soul Mover” tratta dall’ultimo album a cui fa seguire “Orion”, ma vado letteralmente in estasi quando parte “Mistreated” con il bellissimo intro di JJ Marsh, un brano che Glenn riesce a migliorare di volta in volta. Il refrain stoppato di “Can’t Stop the Flood” mi fa saltare dalla gioia, forse il brano più bello dell’ultimo Hughes, ma le emozioni continuano con “Let It Go” e “High Road”. A sorpresa Glenn rispolvera la bellissima Medusa dal repertorio dei Trapeze. La voce di the “Voice Of Rock” è più bella che mai e in tanti si chiedono quale sia il segreto di tanta longevità!

Due sono stati i bis, una grandissima “Seventh Star” che mi ha riempito il cuore di vera gioia e l’irresistibile “Burn”, due brani per i quali ogni commento è davvero superfluo!
Glenn è uno spettacolo per le orecchie, per gli occhi e per il cuore, Glenn incarna la passione fatta musica, Glenn è il lato migliore del rock, Glenn grazie di esistere! GB

Interviste: 2002; 2005

Recensioni: Building the Machine, A Soulful Christmas, Different Stages, Soulfully Live,
Songs in the Key of Rock, Hughes Turner Project, HTP Live in Tokyo; Freak Flag Flyin'
Soul Mover; Music for the Divine; Live in Australia; F.U.N.K.

Altre recensioni: Fused; Hughes Turner Project; Live in Tokyo;
Wild Seed of Mother Earth

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Artisti correlati HTP, Voodoo Hill, Iommi, Brazen Abbot


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