Rock Impressions

Devin Townsend Project - Deconstruction DEVIN TOWNSEND PROJECT
Deconstruction + Ghost
Inside Out
Distribuzione italiana: Spin Go!
Genere: Extreme Metal + Ambient
Support: 2CD - 2011
Devin Townsend Project - Ghost


Devin Townsend, il metallaro genialoide, il Frank Zappa del metal, il folle visionario, un artista che ci ha sorpreso disco dopo disco e oggi è qui con ben due titoli nuovi di zecca, che chiudono la quadrilogia iniziata con Ki e continuata con Addicted. In vent’anni circa di carriera musicale, Devin ha fatto un po’ di tutto, dall’ambient al metal più estremo con tutto quello che ci stà in mezzo, anche se è sempre stato un artista borderline, che non ha mai veramente fatto il grande salto. La vita di Townsend è stata segnata da eccessi e abusi di sostanze stupefacenti e alcool, ma da circa quattro anni ha deciso di cambiare vita e ha realizzato questi quattro dischi come inizio di un nuovo cammino anche e soprattutto artistico. Siccome vi abbiamo già parlato dei due capitoli precedenti, passiamo subito all’analisi di questi due nuovi lavori.

Deconstruction è uno dei dischi più violenti e metal di Devin, l’avvio è piuttosto prog, con delle ritmiche complesse e innovative, atmosfere vellutate e quasi elettroniche, ma poi a metà del brano esplode un cantato rabbioso come pochi e tutto diventa sulfureo e infuocato, musica decisamente apocalittica, con ritmiche complesse e un tessuto musicale che sfiora il rumore puro. Una simile violenza lascia disorientati, ma è solo l’inizio. “Stand” parte con un giro tribale e un forte senso drammatico, non privo di una certa efficacia, ma anche in questo caso ad un certo punto parte una virata brusca verso il metal estremo che crea una cacofonia esagerata. Certi passaggi isolati dal contesto non sono male, molto teatrali e ricchi di enfasi, ma il tutto ha un sapore forte, anche troppo, musica da Dies Irae. Si continua sulla stessa linea con “Juular”, visionaria e ricca, che via via scivola in suoni caotici e sempre più folli, fino ad un finale inascoltabile. Per me brani come “Planet of the Apes” sono del tutto inascoltabili, l’Apocalisse diventa reale e palpabile, un delirio sonoro che è più incubo che altro. Fortunatamente ogni tanto non mancano momenti più rilassati e allora il nostro tocca anche dei grandi vertici espressivi, ma il bilancio pesa gravemente sugli aspetti che abbiamo sottolineato.

Ghost è esattamente il contrario del disco precedente, in questo disco Devin si getta a capofitto nell’ambient più rilassante e sdolcinato, un paradiso dal sapore ambiguo. L’inizio con “Fly” è anche abbastanza suggestivo, tra sonorità che rimandano agli indiani d’America e alle ballate folk si respira un’aria sognante. Brano minimale con qualche venatura prog. “Heart Baby” è ancora più eterea e spirituale, i suoni si fanno più delicati e sospirati, una contrapposizione totale col disco precedente. “Feather” è un brano molto lungo e strutturato, quello che ha le melodie che mi sono piaciute di più, anche se alla lunga è un po’ prolisso. Da questo punto il disco prende una strada senza ritorno e inizia a diventare di una noia assoluta, melodie stemperate e giri ipnotici si susseguono senza mai catturare la mia attenzione, musica da evitare in particolare in auto, pericolo colpi di sonno. Lo stesso Devin dice che questa non è musica per tutti e sono pienamente d’accordo con lui.

Insomma, ne nei momenti più aggressivi, ne in quelli più pacati Townsend è riuscito a convincermi. Sicuramente è un artista che stimo, ma per adesso quello che ho ascoltato mi ha lasciato piuttosto perplesso. Idee buone ce ne sono, ma spesso vengono sommerse da altre poco comprensibili, come un bella fotografia nascosta da incrostazioni che la sporcano e la rendono poco leggibile. Ho l’impressione che l’estro di Devin abbia bisogno di essere in qualche modo frenato e contenuto, sembra un paradosso, ma forse solo così la sua genialità troverà una forma convincente. GB

Altre recensioni: Synchestra; Ziltoid the Omniscent; Ki; Addicted; Epicloud; The Retinal Circus

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