Rock Impressions
 

YES - La Discografia Commentata
di Michele Maestrini

Un genere unico quello degli Yes, un mix riuscito fra tecnicismi incredibili, melodie grandiose e orecchiabili e testi fiabeschi e rilassati. Stiamo parlando ovviamente del periodo d’oro della band, quello fra il 1970 e il 1977, segnato da grandi capolavori.
Le caratteristiche peculiari dello Yes sound sono i virtuosismi barocchi di Rick Wakeman, il cui stile è sempre legato alla musica classica, il chitarrismo mai scontato e quasi sempre solistico di Steve Howe, che ha portato all’interno della band uno stile profondamente influenzato dal Jazz, ma anche dal Country, e la voce in semi falsetto, unica nel suo genere, di Jon Anderson che rende le canzoni immediatamente riconoscibili. Non mancano di stupire, inoltre, il tocco leggero e jazzato con dei tempi assurdi di Bill Bruford prima e il drumming di Alan White poi, autore di uno stile sicuramente piu’ rock rispetto al primo, ma non per questo più banale. In ultimo si segnala anche la presenza di un grandissimo bassista come Chris Squire.
Pionieri insieme ai Genesis del Progressive sinfonico, a differenza di questi ultimi, non hanno mai abbandonato caratteristiche legate al Rock anni 70 e non hanno certamente mai brillato per discrezione, presentando i classici caratteri eccessivi e pacchiani degli anni 70 (specialmente nell’abbigliamento) senza mai però debordare eccessivamente come hanno fatto ad esempio i conterranei Emerson, Lake & Palmer.
Lo scopo della mia discografia commentata non è quello di analizzare stilisticamente le loro canzoni e descriverne dettagliatamente il genere perché sarebbe un discorso veramente difficile e lungo da affrontare, ma piuttosto quello di offrire alcune indicazioni utili a chi volesse cominciare a conoscere questa band e che potrebbe smarrirsi fra i 20 e più albums pubblicati, correndo il rischio di identificare il gruppo con 90125 piuttosto che con un Close To The Edge.

YES (1969): Ecco l’album d’esordio di una delle band più importanti del progressive inglese. Presenta qualche ottima intuizione (Harold Land, Beyond And Before, Survival) e rimane un album piacevolissimo da ascoltare anche se lontano dal prog sviluppato negli album successivi. 6,5/10

TIME AND A WORD (1970): Registrato con un’orchestra è un album non troppo considerato dai fans anche se dall'inizio alla fine contiene delle ottime canzoni. Il genere è in bilico fra le tentazioni hyppies degli esordi e una vena progressiva non ancora completamente sviluppata. 7,5/10

THE YES ALBUM (1971): Peter Banks lascia la band e al suo posto subentra Steve Howe, che porterà all’interno della band il suo virtuosismo funambolico e uno stile unico nel suo genere. The Yes Album: mai titolo fu più azzeccato per un disco che definirà uno stile che porterà i nostri ai vertici del prog anni 70. Dall'inizio alla fine l’album è una successione di superclassici ancora presenti nelle scalette live a distanza di più di 30 anni. Un album essenziale in ogni discografia prog. 9/10

FRAGILE (1972): Titolo non azzeccato per un album che si rivela essere il più rock della produzione della band. Canzoni come Roundabout, Long Distance Runaround e Heart of the Sunrise entrano a pieno titolo nella storia del progressive e non mancano momenti di piccolo egocentrismo, con contributi solisti ad intervallare le canzoni vere e proprie. Un classico. 9/10

CLOSE TO THE EDGE (1972): Una delle pietre miliari del rock progressivo, un album semplicemente perfetto. La suite omonima ci regala 23 minuti di pura estasi ,seguiti dalla splendida And You And I e dalla grande Siberian Kathru.Essenziale. 10/10

YESSONGS (1973 2CD, 3LP): Sei facciate di Prog-rock allo stato puro, triplo album per uno dei live più belli ed importanti della storia del rock in cui gli Yes dimostrano di riuscire a ripetere dal vivo le complicate strutture delle loro canzoni con risultati sorprendenti. Proprio durante questo tour Bruford abbandonerà la band per entrare nei King Crimson e verrà rimpiazzato dall’ottimo Alan White (sono presenti entrambi nel disco). La scaletta si compone di tutti i classici sfornati dalla band all’epoca riproposti in versioni più furiose e rock rispetto agli originali. Un album imperdibile anche se purtroppo nella versione cd è penalizzato da una rimasterizzazione non all’altezza. 9/10

TALES FROM TOPOGRAPHIC OCEANS (1973 2CD): Pretenzioso, noioso, eccessivo... questi sono solo alcuni degli aggettivi affibbiati ad un album controverso, da alcuni definito capolavoro da altri una una noia mortale. La mia opinione è, ovviamente, concorde con i primi, anche se comprendo che ad un orecchio “impreparato” sul versante Yes possa apparire un po’ eccessivo e ridondante (da notare la presenza di quattro songs da più di venti minuti l’una). O lo si ama o lo si odia, io lo amo. 9,5/10

RELAYER (1974): In risposta alle critiche ricevute per l’album precedente, gli Yes se ne escono con un album fotocopia (nelle struttura) di Close to the Edge. Dopo la dipartita di Wakeman a causa di dissidi interni e dell’insofferenza dello stesso verso Tales (opera quasi esclusivamente composta da Anderson e Howe) la band ingaggia un tastierista fenomenale di nome Patrick Moraz e registra un altro grandissimo album. Il suono è tecnico, tagliente, caotico, metallico e preciso al tempo stesso. I 23 minuti di Gates of Delirium sono da brivido e le struggenti note conclusive di Soon lasciano spazio alla seconda traccia, l’incredibile Soundchaser, dove i nostri sfoggiano una tecnica mostruosa. Chiude l’album la Stupenda To Be Over, che dopo il caos ci trasporta in mondi sognanti e delicati segnati dalla chitarra quasi liquida di Howe. Stupendo. 10/10

GOING FOR THE ONE (1977): A distanza di tre anni e con il rientro di Wakeman, ecco l’uscita di questo bellissimo album che contiene la giustamente pluriosannata Awaken. Il disco è piacevolissimo e scorre senza che l’ascoltatore quasi se ne accorga, spaziando dalla rockeggiante title track alla intimistica Turn Of The Century, dalla tecnica Parallels alla sognante Wounderous Stories. Awaken è una song di 16 minuti in cui gli Yes inseriscono tutti gli ingredienti appartenenti al loro sound migliore e in cui la presenza di Wakeman fa la differenza. 8,5/10

TORMATO (1978): Tormato è sempre stato un album poco considerato dai fans e criticato aspramente all’epoca in cui uscì. Io ho sempre avuto un debole per questo disco e lo reputo un buon album e uno dei più sperimentali della band. Sicuramente è un album da rivalutare a distanza di questi anni e On The Silent Wings Of Freedom, Onward e Future Times sono canzoni molto belle che fanno parte, ormai, della storia della band. 7,5/10

YESSHOWS (1980 2CD): Ottimo live che testimonia spezzoni dei tour dal 1976 al ’78 e che non aggiunge niente di nuovo al panorama Yes. La scaletta è come al solito eccellente e contiene oltre all’insolita Don’t Kill The Whale, ottimamente riproposta, delle versioni da brivido di The Gates Of Delirium e di Ritual (entrambe suonate da Patrick Moraz, la cui presenza si alterna a quella di Wakeman) proposte come al solito in modo impeccabile. Apre l’album una versione furiosa di Parallels suonata anche meglio dell’originale. Non essenziale ma ottimo. 8/10

DRAMA (1980): L’album più strano, un incrocio tra il sound classico, influenze anni ’80 e una spruzzata di “pop” portata da Horn e Downes, reduci dal successo di Video Killed The Radio Stars con i Buggles. L’album si fa notare per la pesante assenza di Anderson, sostituito comunque da un Horn che, senza infamia e senza lode, si limita ad imitarne la voce. Ciò che ne risulta è comunque un buon album caratterizzato da splendide armonie sottolineate dalla chitarra di Howe (che dopo il tour abbandonerà la band) ,da linee di basso sempre interessanti e con ottime canzoni come Machine Messiah e Tempus Fugit. Downes svolge un compito decisamente buono alle tastiere con suoni e interventi misurati senza avventurarsi in eccessivi ed inutili virtuosismi. 7,5/10

90125 (1983): L’album della notorietà al grande pubblico grazie al singolo Owner Of A Lonely Heart e che farà intraprendere al gruppo una strada ben lontana dai fasti del prog anni 70. Owner a parte questo è un disco di, mi si passi l’espressione, pop-prog, con qualche spunto interessante qua e la e con un Trevor Rabin (il chitarrista factotum chiamato a sostituire Howe) che la fa da padrone. C’è di peggio. 6,5/10

9012 LIVE - THE SOLOS (1985): Trascurabile testimonianza live di quello che succedeva nei tour seguenti la pubblicazione di 90125, contiene le versioni dal vivo di Hold On e Changes più interventi solisti da parte di ognuno, troviamo infatti un inutile e brutto assolo di Tony Kaye, la virtuosa Solly’s Beard di Rabin, Soon per quanto riguarda Anderson, e la discreta Whitefish, ovvero un medley da parte di White e Squire comprendente estratti da The Fish, Tempus Fugit e Sounchaser. Trascurabile. 5/10

BIG GENERATOR (1987): E infatti c’è di peggio! Poche cose si salvano di quest’album che strizza troppo l’occhio all’Aor e che ha troppo di Rabin e troppo poco di Yes. Uniche perle in questo disco moscio e insipido sono la bella Final Eyes e la bellissima Holy Lamb. 5/10

ABWH (1989): Per motivi legali questo album esce senza presentare il nome Yes ma con in copertina le semplici iniziali dei componenti (anche perché nello stesso periodo circolano ancora gli altri Yes di Rabin & Co.) le cui caratteristiche principali sono la presenza di tre membri storici quali Wakeman, Howe e Bruford, purtroppo manca Squire che viene sostituito in questo caso da Tony Levin. Ciò che ne risulta non è sicuramente un disco immediato, infatti la band entra in territori più sperimentali, dettati dalle ritmiche sempre atipiche e incredibili di Bruford che per l’occasione alterna batteria acustica ed elettronica e da un mix di canzoni a metà strada fra 90125 e i classici del passato. Un album da ascoltare più volte per essere assimilato. 7,5/10

UNION (1991): L’album della mega-reunion in cui sono presenti tutti i membri degli Yes attuali e buona parte di quelli passati. Di questo periodo rimarrà nella storia il tour memorabile con la famiglia Yes al completo on stage, ma non di certo questo album orribile che, a mio avviso, è il peggiore della storia della band. Da evitare. 4/10

TALK (1994): Rabin ha ormai preso in mano totalmente la situazione e spadroneggia anche in questo lavoro nel quale però cominciano ad intravedersi spunti interessanti come non se ne vedevano da tempo. L’iniziale The Calling è un’ottima canzone e la finale Endless Dream mostra una ritrovata vena compositiva e da sola merita l’acquisto dell’album. Ultimo album segnato dalla presenza di Rabin. 6/10

KEYS TO ASCENSION (1996 2CD): Essenzialmente un album live che si fa notare per la presenza di due canzoni inedite e dal ritorno dei membri storici Howe e Wakeman. Il live è composto da un’ottima scaletta e i vecchi brani sono riproposti con suoni moderni e un’energia notevole; unica pecca il suono un po’ “finto” dovuto ai troppi ritocchi in studio. I due brani inediti non sono dei capolavori anche se i 20 minuti di That, That Is confermano la voglia di un ritorno al passato da parte dei nostri. 6,5/10

KEYS TO ASCENSION II (1997 2CD): Stesso discorso del primo volume vale per i brani live presenti, ma discorso diverso per gli inediti, stavolta sono ben cinque e tutti di qualità superiore alla produzione degli ultimi anni, con una menzione particolare per la bellissima Mind Drive, che ripesca vecchi demo risalenti agli anni settanta. 7/10

OPEN YOUR EYES (1997): Il sogno di molti fans avveratosi nella ritrovata line-up di Keys To Ascension si infrange nello stesso anno con la produzione del nuovo disco della band. Incorporato stabilmente un secondo chitarrista, Billy Sherwood, già visto sul palco con i nostri ai tempi di Talk, il gruppo sforna questo disco molto diverso dai due Keys e molto più orientato sulla forma canzone. Molti fans all’ epoca restarono con l’amaro in bocca, ma a distanza di questi anni, riascoltandolo attentamente ci si accorge che, pur essendo un lavoro atipico per la band si tratta comunque di un buon disco, con alcune idee azzeccate e altre meno. 6/10

THE LADDER (1999): Finalmente la band ricompone le idee e tra alti e bassi registra questo, che si dimostra essere un disco piacevolissimo, contenente canzoni pregevoli come l’iniziale Homeworld (il punto più alto dell’album), la bella The Messenger e la bellissima New Language dove il nuovo tastierista Igor Koroshev rispolvera dalla sua tastiera suoni che ci riportano indietro di 30 anni. Un album un po’ disomogeneo, che alterna picchi altissimi con pesanti cadute di tono, ma nel complesso bello. 7,5/10

HOUSE OF YES - LIVE FROM HOUSE OF BLUES (2000 2CD): L’inizio di Yours Is No Disgrace è a dir poco devastante, i nostri infatti propongono una versione del pezzo piena di energia e passione, suonando questo classico del loro repertorio nel migliore dei modi. Se il live si mantenesse su questi livelli avremmo di fronte un capolavoro assoluto, ma purtroppo i classici sono intervallati dalle canzoni di The Ladder, il quale aveva anche delle grosse cadute di tono e che dal vivo rimangono tali. Nel complesso è comunque un live imperdibile sia per la qualità del suono che della musica. Le tracks Yours Is No Disgrace, Perpetual Change, And You And I (che riesce ad incantarmi ancora dopo l’ennesimo ascolto) e una versione da brivido di Awaken sono suonate nel migliore dei modi. Un live più genuino dei due Keys To Ascension e una band al top della forma. 8/10

MAGNIFICATION (2001): Allontanato Koroshev per il suo temperamento burrascoso e non riuscendo a trovare un tastierista stabile, Anderson e soci optano per la non originalissima idea di lavorare con una intera orchestra come fecero in occasione della registrazione di Time And A Word. Il risultato è a mio avviso ottimo e il lavoro del famoso compositore Larry Groupé porta una ventata di freschezza, che permetterà alla band di registrare questo album bellissimo che ritengo essere il migliore dai tempi di Going For The One. 8/10

SYMPHONIC LIVE 2001 (2DVD): Splendida testimonianza del tour mondiale definito sinfonico per la presenza di un’orchestra a completare la lineup della band. Le immagini sono bellissime, la regia è ottima e ottima è anche la qualità audio. La scaletta è stupenda e fa di questo live un documento imperdibile, sia per chi ha avuto la fortuna come me di assistere ad una tappa del tour, sia per chi vuole vedere come una band dalla storia pluritrentennale riesca ancora a rockeggiare come una volta. Le vette del dvd sono The Gates Of Delirium (in una delle versioni più belle mai registrate), Starship Trooper, And You And I e Ritual. La presenza dell’orchestra arricchisce le canzoni limitandosi ad aggiungere ulteriori orchestrazioni e svolgendo comunque un lavoro impeccabile, come impeccabile è anche il giovane session man Tom Brislin, che si trasforma a volte in Moraz e a volte in Wakeman per riproporre nota per nota le partiture dei due super-tastieristi. 9/10

MM

Recensioni: Magnification; Symphonic Live

Live reportage

Related Artists: Steve Howe, Asia, Conspiracy


Ricerca personalizzata

Indietro all'elenco delle Retrospettive

| Home | Articoli | Interviste | Recensioni | News | Links | Art | Chi siamo | Rock Not Roll | Live | FTC | Facebook | MySpace | Born Again |