Rock Impressions

Soft Machine - Drop SOFT MACHINE - Drop
Moonjune
Distribuzione italiana: IRD
Genere: Jazz Rock / Canterbury
Support: CD - 2009 (1971)


Nel 2006 è scomparso il sassofonista Elton Dean, un artista che ha tracciato un solco netto fra il Progressive del tempo ed il Jazz Rock. I Soft Machine ricordano il proprio compagno con questo album tributo registrato dal vivo in Germania nel 1971. Il quartetto del tastierista Mike Ratledge viene qui fotografato nel massimo dello splendore, ossia quando l’ispirazione è sul nascere. Dopo il capolavoro del 1970 dal titolo “Third”, molto fantasioso e dell’ottimo successivo “Fourth”, ultimo disco con il leader Wyatt alla batteria, i Soft Machine hanno conosciuto una carriera semplicemente onesta. Seguono nel tempo altri buoni lavori, ma meno ispirati, pur rimanendo dei punti di riferimento per molte altre band. Ecco la bellezza di “Drop”, un disco voluto dall’attenta Moonjune che fotografa questa band nel suo status quo.

Come dicevo prima, Wyatt se ne è andato ed il suo posto viene momentaneamente ricoperto da Phil Howard, mentre al basso c’è Hugh Hopper. Un documento prezioso ed una goduria per chi ama il Jazz Prog più colto. La batteria nervosa ed aggressiva, pone alla vista una band nel pieno del passaggio stilistico, quello che nel tempo porterà la band ad una differente raffinatezza. Howard è come una cometa per i Soft Machine e questo è un altro motivo per cui ascoltare “Drop” con attenzione. Il suo stile marcato si differenzia di molto da quello del fondatore Wyatt ed è un vero trascinatore in sede live….forse anche troppo.
Quando nello stereo comincia a girare “New Caliban Grides” si ha come la sensazione di sentire l’odore del palco, di vedere Dean soffiare nel sax e guardarsi con un cenno d’intesa con i propri compagni.

Jazz Rock DOC, assolutamente da studiare oltre che da ascoltare. La cosiddetta Scuola Di Canterbury qui conosce una delle pietre miliari che la reggeranno per un buon decennio.
Gli strumenti vengono spesso straziati, rovesciandosi a capofitto in una improvvisazione che riesce bene solo ai grandi. La registrazione è remixata, ripulita, certamente non è delle migliori, ma l’ascolto considerando poi che si parla del 1971 è più che accettabile.

Un disco dedicato quindi non solo al povero Dean, ma a tutti gli amanti di questo genere.
Una macchina da guerra, un muro sonoro che stordirà tutti coloro che non sono avvezzi a questo genere di suoni, per gli altri un semplice orgasmo mentale.

Questi erano i Soft Machine! MS

Altre recensioni: Live in Zaandam; Soft Machine Legacy; Floating World Live; Steam;
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