Rock Impressions
 

INTERVISTA AD ENRICO RUGGERI
di Giancarlo Bolther

Dall’ultima intervista che abbiamo fatto sono passati quattro anni e sono successe molte cose: è nato Ugo, hai passato i 50, hai realizzato 5 dischi con la raccolta e sei entrato nel mondo della televisione come conduttore, chi è Ruggeri oggi?
Allora dobbiamo vederci più spesso! (risate)
Io sono una persona molto curiosa, uno che ama svariare il mazzo, cioè fare delle cose che gli altri non si aspettano e negli ultimi tempi in effetti ne ho fatte parecchie, come fare un figlio all’età di quarantotto anni. Ho iniziato anche a fare televisione, che è stato per caso, ma l’ho già detto. Un giorno mi ha chiamato il direttore di Italia1, io mi stavo già preparando una serie infinita di scuse, perché immaginavo che mi avrebbe proposto qualcosa che non mi interessava, invece loro avevano già in mente questo programma (ndr Il Bivio) e cercavano qualcuno che non venisse dalla televisione, ma che fosse un po’ autorevole e simpatico, che avesse dimestichezza con la lingua italiana e hanno pensato a me. Come ho saputo com’era il programma mi sono innamorato dell’idea, un programma assolutamente sulle mie corde, raccontare le storie, raccontare il confine tra destino e libero arbitrio, parlare con la gente… da li è nata una prima edizione che è andata bene, così abbiamo fatto la seconda che è andata meglio della prima, poi è venuta la terza che è andata meglio della seconda… ho provato a dimostrare che si può fare della televisione divertente che faccia ascolti anche senza aver le donne nude, con tutto l’affetto che abbiamo per le donne nude, insomma, senza sbracare. Poi tra le altre cose nuove… pochi mesi fa ho inciso una colonna sonora per un film insieme a Luigi, ad Andrea e ai miei amici e collaboratori. Tante esperienze diverse che mi hanno portato a fare l’album più strano che sia mai stato fatto su cd, intanto è un triplo che non contiene i successi, un’opera dell’ingegno in un momento in cui tutti sono sulla difensiva e sono tutti col Best Of pronto.

In effetti in questo periodo ne stanno uscendo tantissimi e quasi tutti tripli… Ascoltando il nuovo album il primo giudizio che ho pensato è proprio stato che mi sembrava una sfida…
Assolutamente si, perché in un periodo in cui tutti piangono, in cui non si vendono dischi, ho pensato che era un po’ uno sberleffo alla crisi e anche a tutte quelle persone che reagiscono alla crisi evitando di fare cose nuove per paura di sbagliare, infatti l’ho chiamato All In proprio per questo. È sicuramente un rischio, una sfida, una follia, come ho aggiunto nel titolo, ma è quello che mi sentivo di fare.

Una delle domande che volevo farti era proprio sulla colonna sonora, perché nella nostra ultima intervista mi avevi confidato il desiderio di realizzarne una, adesso che questo progetto si è avverato, che bilancio fai di questa esperienza?
Sono stato contattato da questo regista albanese, che come tutti gli albanesi conosce molto bene la musica italiana, e voleva quello che, secondo il suo giudizio, era l’artista più vario. Questo è un film dove si piange, si ride, è un film d’avventura, c’è azione, ma è anche grottesco, dove si alternano davvero tanti stati d’animo e quindi mi onoro del fatto che lui abbia ritenuto di trovare nella mia persona l’artista italiano più vario possibile.
Il bilancio è molto positivo, mi sono divertito molto ed è stato stimolante, perché è un modo diverso di fare musica. Scrivi una musica senza pensare ad un testo, ma se farla suonare ad un clarinetto o agli archi o al saxofono, ed è stato molto stimolante.

Secondo me All In è anche un disco proiettato nel futuro, perché presenta delle collaborazioni nate su MySpace, e questo è molto interessante, perché la musica sta trovando nuove forme di comunicazione…
Si assolutamente, questo è un album che non avrei potuto fare prima di MySpace, perché ho trovato degli artisti che non erano famosi, a parte una che è esplosa “in corsa” che si chiama Ima, con cui ho cantato “Attimi”, e adesso è triplo platino in Canada… questi sono i casi della vita. Il principio è che ci sono tante cose interessanti e proprio grazie a MySpace adesso si possono sentire. In fondo quello che io ho trovato è solo un ago nel pagliaio, ho trovato quattro artisti, ma ce ne saranno altri quattrocento altrettanto bravi.

Hai preso tu l’iniziativa di contattarli?
Si, sono stato io a contattare loro. Loro, ovviamente, erano miei “amici”, ormai ho molti “amici” in MySpace e con un po’ di pazienza mi sono messo ad ascoltare un po’ di cose e loro conoscevano me, poi sai com’è MySpace, uno è amico di uno che a sua volta è amico di Schiavone e come una catena diventa amico mio, quindi non si trattava di miei fans, erano amici di MySpace con tutto quello che comporta. Per cui li ho ascoltati ed ho incominciato a chiedergli se erano interessati ad una collaborazione, gli ho mandato il pezzo. Anche in questo caso, prima della rete (ndr Internet) avrei dovuto mandargli il prepagato, farli venire qui, organizzare l’albergo… eccetera, una cosa costosa e organizzativamente complessa, invece così ho mandato il file e nel giro di tre o quattro email si è risolta la vicenda.

Perché hai scelto di ricantare le canzoni di Rock Show?
Il sogno di tutti i cantanti è quello di fare un album, andare in tournée e poi rifarlo. Nel nuovo disco c’è poco di risuonato, ma c’è tutto di ricantato, perché mi accorgo sempre che quando finisco una tournée riscoltando l’album lo trovo inferiore nelle interpretazioni vocali. Dopo che canti le canzoni per cinque mesi è normale che vengano meglio, sarebbe meglio poter fare la tournée e poi cantare il disco. Per cui mi sono voluto togliere anche questa soddisfazione. Però il gioco era anche quello di vedere questo album, che per me era molto importante, filtrato attraverso altre sensibilità e altre interpretazioni, addirittura altre lingue fino addirittura all’interpretazione del pezzo più delicato, che è “Il Giorno del Blackout” del quale si era parlato molto, interpretato e scritto da un diciottenne che è mio figlio.

Sta dimostrando delle doti anche lui. Il testo è totalmente suo?
Si, il testo è totalmente suo. Anche la base, pensa che ce l’ha fatta rifare tre volte. Ha le idee abbastanza chiare, almeno dal punto di vista dei testi. Sulle sue cose si respira una bella aria. Tra l’altro io non sapevo che faceva queste cose. Stavo cercando un rapper e, come tutti i genitori, indaghi un po’ sul figlio, però non avevo mai sentito cose sue, sono stati i suoi amici a farmele sentire e così ho pensato che era proprio il rapper che stavo cercando. È stato sicuramente il duetto più difficile dell’album, perché c’erano anche altre dinamiche del tipo: “non voglio fare il raccomandato di mio padre”, oppure “tu hai un suono diverso, io ti rispetto, ma mi piace un altro tipo di musica…”, con lui c’è stata una trattativa estenuante.

Poi c’è un altro disco di cover, praticamente è il quarto che fai…
Perché mi diverte farlo, il cd contiene tutte le cose “strane” che io ho fatto durante l’anno scorso, c’è un concerto con una grande orchestra in Veneto, c’è la partecipazione alla serata per Freddy Mercury, c’è “Popoff” fatta a casa mia una sera con degli amici, ci sono pezzi che abbiamo provato nei sound check, varie cose di questo genere. La scelta dei pezzi è stata dettata dal cuore, non è stata una scelta strategica, erano semplicemente canzoni che avevo voglia di cantare.

La copertina di All In è molto forte, è una metafora?
Si, è una metafora, ho un amico fotografo italiano che vive a New York e che è molto ricettivo. Adesso, per merito di Tarantino, c’è molto la ripresa dei film italiani degli anni ’70 e noi abbiamo ricreato una scena del genere, con una macchina d’epoca e così via. La metafora è che la mia vita è sempre stata quella di correre e di andare molto forte, con qualcuno che in qualche modo ti punta la pistola alla tempia, qualcuno che poi idealmente viene sconfitto.

Ha un’identità questo personaggio?
No, sono gli ostacoli che trovi nella vita. Possono essere un giornalista, i media… tutte le difficoltà che trova un artista nella vita.

Qualche giornalista ti ha messo in difficoltà?
Sai, non è che puoi piacere a tutti, questo è un mondo particolare, magari c’è quello che ti ha invitato nella sua trasmissione e tu hai detto di no perché non potevi e poi questo scrive male di te. Oppure proprio perché non gli piaci.

Il Bivio è una trasmissione dove hai incontrato personaggi davvero particolari, alcune storie erano al limite con personaggi che ponevano grossi interrogativi, che cosa ti è rimasto di tutti questi “incontri”?
Prima di tutto la consapevolezza che non è mai volgare l’argomento, ma è sempre volgare il modo di trattarlo. Ti faccio un esempio esagerato, Dostoevskij ha scritto il romanzo Delitto e Castigo che racconta di un uomo che ammazza una vecchia, gesto riprovevole e di per sé volgare, ma Dostoevskij scrive un capolavoro. Ora io non sono Dostoevskij, però credo di aver dimostrato che si può parlare anche di cose crude, molto dolorose e sordide cercando di rispettare tutti i protagonisti della vicenda. Queste storie mi hanno lasciato quello che in fondo ho sempre avuto, cioè una grande solidarietà con l’universo degli sconfitti. Un grande senso del rispetto con chi, nella vita, non ce l’ha fatta o che addirittura è stato messo fuori dai contesti elementari, dalla “sopravvivenza”. Sicuramente questa esperienza ha acuito in me questo sentimento protettivo nei confronti dei più deboli.

Sono nate delle idee che potresti usare per le tue prossime canzoni?
Sicuramente, magari non direttamente, ma ci sono delle canzoni che in qualche modo riprendono degli acquerelli fatti in televisione.

Come ti sei trovato nel ruolo di conduttore televisivo, in particolare rispetto al tuo ruolo “storico” di cantante?
La televisione è un mondo molto spietato, è un mondo dove tutte le volte che fai qualcosa, la mattina dopo verso le dieci e mezza hai già la risposta di come è andata. Io non guardo mai i dati d’ascolto, però verso mezzogiorno accendo il telefono e dal numero di messaggi che ricevo capisco quanto è andata bene. Ad esempio se ricevi quello del direttore e del vice direttore vuol dire che è andata benissimo. Ci sono delle ritualità ricorrenti per cui quando funzioni sei veramente gonfio di “amici” e di ammiratori, mentre se le cose vanno male, spariscono tutti. È un mondo molto competitivo e molto spietato, sicuramente non è il mio mondo, preferisco fare il cantautore, però ho fatto queste cose ed ho trovato qualche collaboratore con alcune doti di umanità, ma è un mondo duro. Non mi sarebbe piaciuto nella mia vita dai vent’anni ai cinquanta, fare solo televisione.

Sempre nella nostra precedente intervista mi avevi dichiarato: “Per quanto riguarda invece quelli che comunicano in televisione io ho l’impressione che sia veramente tutto finto, è tutto in funzione dello spettacolo, addirittura anche le cose “vere” diventano spettacolo. Nel momento in cui vai in televisione non sai più esattamente quanto sei sincero, è il mezzo che ti porta in qualche modo a sdoppiarti e a recitare.” Quanto di quello che abbiamo visto nelle tue trasmissioni era sincero?
In parte confermo quello che ho detto, proprio per questo ho fatto televisione, perché ho voluto dimostrare che si può fare un’altra televisione. Comunque è vero che, chiunque vada in televisione, nel momento in cui si accende la “luce rossa” non può essere completamente sincero. Nei miei programmi di vero c’erano le storie, i protagonisti erano tutti i “veri” protagonisti della storia, poi quanto queste persone siano state sincere nel momento in cui parlavano io non posso garantirlo, ma questa è la grande incognita del mezzo televisivo. Ci può essere uno che non ha mai parlato con nessuno, ma trovandosi lì davanti a tanta gente capisce che quello che dice cambierà in qualche modo la sua vita, allora intervengono dei filtri che lo rendono meno puro di quanto sarebbe stato, ad esempio nel bar sotto casa sua, è inevitabile.

Il titolo del tuo disco Amore e Guerra ricorda il titolo di un disco di Massimo Bubola, è una coincidenza o hai voluto in qualche modo omaggiare Bubola (che mi ha detto che siete amici)?
La verità è che non lo sapevo, me l’han detto dopo e mi sono scusato, succede, non è stato un omaggio, francamente non lo sapevo. Vasco Rossi ha cantato un pezzo che si chiama “Senorita”, ma l’avevo fatto prima io, Pino Daniele ha cantato “Neve al Sole”, ma anch’io ho fatto “Il Portiere di Notte” che era il titolo di un film. Però, almeno sui titoli…

In questo disco hai parlato delle paure moderne, un tema quasi profetico e sempre più attuale…
Sicuramente è difficile tracciare un confine, viviamo in tempi difficili, in tempi violenti, in tempi in cui davvero c’è paura, io respiro la paura della gente di uscire di casa. A me hanno svaligiato lo studio, la casa, sia dove abita mio figlio che la mia, queste sono cose che succedono nella vita di tutti i giorni. Per cui si è veramente in difficoltà, anche se è chiaro che queste paure non devono diventare fobie. Dipende anche da chi ci governa di garantirci di poter stare più tranquilli, senza strumentalizzare le nostre paure. Sarà la storià a dirci se si può fare.

A proposito del vostro album natalizio, mi ricordo un’intervista dove un giornalista ti chiese se non fosse una mancanza di rispetto nei confronti dei non cristiani fare un disco intitolato così, sinceramente rimasi piuttosto stupito da questa domanda, non ti sembra che oggi ci sia più rispetto per le altre religioni che non per la nostra?
Assolutamente, infatti era una domanda che mi era piaciuta, perché mi aveva dato modo di dire che era proprio un disco “politically uncorrect”. Oggi ribadire una fedeltà ad una tradizione come quella di Natale è una cosa che non si può più dire e proprio per questo mi è venuta ancora più voglia di fare quel disco. Poi è un disco con canzoni particolari e non scontate, c’è l’Europa dentro.

Hai dichiarato che Rock Show è il tuo disco più autobiografico, questo mi ha un po’ sorpreso, perché in fondo tu sei sempre stato autobiografico…
È vero, nelle mie canzoni la parte autobiografica è sempre stata importante, ma in questo disco c’è proprio la storia di una persona che ha avuto questa vita particolare, perché arrivare a cinquant’anni ed essere famoso da quando ne avevi venti mi ha fatto vivere su binari diversi, perché comunque tutte le persone che ho conosciuto negli ultimi trent’anni mi conoscevano già. Quindi era sempre un rapporto umano filtrato attraverso qualcuno che mi aveva già visto in un altro modo e tutte le persone che incontravo in questi anni si domandavano “ma quanto è uguale all’immagine che avevo di lui?” è un rapporto particolare. Poi oltre a quello ci sono altri aspetti, il fatto di avere in qualche modo, uso una brutta parola per spiegarmi, “sfruttato” i propri sentimenti e la propria vita per scrivere qualcosa è un’altra cosa particolare, perché se voglio ricordarmi di com’ero nel ’91 mi ascolto il disco del ’92, non vado a vedere le foto, perché nel disco del ’92 ci sono un sacco di cose che mi sono successe nel ’91. Per cui il fatto che io abbia avuto la fortuna e l’onere di segnare la mia vita attraverso cose che scrivevo e che seguivano il mio percorso umano è un’altra cosa “strana”, valeva la pena di farci delle riflessioni.

Una cosa che posso dire su di te, in base alle volte che ho avuto la fortuna di poterti incontrare di persona, è che come appari in televisione così sei anche nella vita di tutti i giorni…
Si, soprattutto adesso che sono un po’ più sciolto in televisione. Io, in realtà come cantante, non ero quello che “bucava” il video, perché in televisione spesso canti pezzi in playback, e intanto che canti c’è il tipo che ti chiede “allora è uscito il disco… bene allora torna a trovarci…”. Per cui avere la possibilità di utilizzare la televisione per parlare è stata sicuramente una cosa che mi ha sciolto e che mi ha avvicinato alla gente.

In una canzone ti paragoni ad un pugile e in copertina hai anche un occhio nero, è stata davvero così dura?
Ma no, il truccato dell’occhio nero fa parte della copertina concettuale, che è un genere nel quale mi sto cimentando negli ultimi anni. L’idea è che io sono così, col mio trucco, con i miei lividi e vengo a raccontarvi di me, poi ci sono canzoni varie. La canzone a cui tu ti riferisci è una di quelle canzoni che si fanno per esorcizzare il declino. Ne avevo fatta una anche qualche anno fa che si chiamava “Il Prestigiatore”, dove c’era appunto questo prestigiatore un po’ maldestro. Ogni tanto pensi a queste cose e allora le esorcizzi con le canzoni. Qui c’è il vecchio pugile che si rivolge alla sua donna e le dice “ce la farò anche questa volta”, anche se sa di essere nettamente inferiore rispetto all’avversario.

Dicono che il mondo dello spettacolo è dominato dalla cocaina e che non si salva nessuno, tu che esperienze hai avuto con le droghe?
Rarefatte e giovanili e non interessanti, nel senso che, parlo più per quello che mi hanno raccontato che non per esperienza personale. Le droghe in qualche modo riducono la coscienza che hai di te stesso, cioè tu non sei più allegro, triste, incazzato, arrabbiato, commosso per quello che vivi dentro, ma per un fattore esterno e questa è una cosa negativa. Per cui io conosco tanta gente che capisci che ci dà dentro e capisci anche che il suo umore non è quello che sarebbe naturale in relazione a quello che sta vivendo in quel momento, ma semplicemente perché è andato in bagno dieci minuti prima. Questo non va bene, al di là che fa male al fisico e si muore, però anche se non facesse male al fisico ne starei lontano lo stesso per il motivo che ti ho detto, perché non hai più l’iter normale di tutti noi che ci svegliamo di buon umore, poi abbiamo un momento negativo, poi succede una cosa e siamo di nuovo allegri, la vita è così, mentre li sei regolato da altri fattori. Io voglio essere sempre cosciente di quello che mi succede e voglio vivere la mia vita in pienezza, mentre le droghe non te lo permettono.

Ho l’impressione che ultimamente tu ti stia riappropriando del tuo lato più rock?
Tutti i dischi che ho fatto hanno generato delle tournée che erano più rock del disco, questo è successo sempre, soprattutto d’estate, perché mi diverte, io nasco così. Forse negli ultimi anni sono riuscito a catturare su cd (stavo per dire “su vinile”) quel tipo di energia, che mi riusciva più facile esprimere in concerto.

La canzone di Povia “Luca era gay” ha sollevato un polverone di polemiche, anche tu avevi scritto la canzone “Trans” che, con un approccio molto diverso, trattava queste tematiche, hai avuto anche tu dei problemi?
No, perché fu una canzone che piacque. Addirittura nel Bivio ci sono stati dei trans nelle varie edizioni e tutti, quando sono arrivati, hanno detto che hanno accettatto soprattutto perché si sentivano tutelati, proprio perché avevo scritto una canzone come “Trans” con una certa sensibilità. Alcuni dei trans venuti erano un po’ “da strada”, se mi passi il termine, ma fra gli altri c’è stata anche Mara Siclari, figlia del famoso procuratore della Repubblica, che ha due lauree. E tutti mi hanno riconosciuto questo: “ho accettato di venire proprio perché la presentavi tu”, quindi era una canzone che in qualche modo li ha rappresentati.

Secondo te ha sbagliato Povia?
Non so bene cosa rispondere, perché secondo me c’è stato un inasprimento eccessivo dei toni da tutte le parti, la storia in se è semplicemente una storia molto circoscritta e molto rara, perché l’iter normale di questo Luca doveva essere: si sposa, ha dei figli e poi scopre di essere gay. Ci sono centinaia di migliaia di casi di questo genere. Mentre il caso del gay che prima è gay e poi abbandona quel tipo di sessualità e diventa padre di famiglia è veramente raro.

Anche il cantante che ha vinto il festival ha scatenato una buona serie di polemiche, la sua inclusione fra i big, il fatto che la De Filippi fosse presente sul palco durante la premiazione, insomma è sembrata a molti una vittoria “pilotata”…
Guarda… se ci mettiamo qua con carta e penna ti dico almeno cento nomi di quanti ne ho visti passare in un attimo, cantanti che sono stati eroi di un momento, io auguro a questo ragazzo di non finire in questa lista. A San Remo ci sono tre classifiche: la prima è quella delle giurie ed è un gioco di società; la seconda è quella della vendita dei dischi, un po’ più importante, ma poco; infine c’è la terza classifica che è quella vera, è la classifica del tempo. Il mio orgoglio è che quasi sempre le canzoni che ho portato a San Remo sono rimaste, “Quello che le Donne non Dicono” ha ventidue anni, “Contessa” ha ventinove anni, “Nuovo Swing” ha venticinque anni, “Mistero” ha sedici anni, anche “Primavera a Sarajevo” e “Nessuno Tocchi Caino” cominciano ad avere otto o nove anni e la gente se le ricorda ancora e vengono giudicate canzoni importanti. Quindi in realtà la cosa che conta è questa, ogni anno a San Remo ci sono delle polemiche, c’è l’eroe della stagione di cui si è chiaccherato eccetera, eccetera. Però è il tempo poi che rende giustizia.

Non ti vedremo più sul palco dell’Ariston?
Non lo so. Adesso come adesso mi piacerebbe di più presentarlo che non andarci in gara, se vogliamo scherzarci sopra. Mi sembra uno spettacolo organizzato benissimo, quest’anno ha fatto grandi ascolti, simpatico da vedere in televisione. Andare li a cantare in gara, non lo so… insomma, mi sembra che la musica sia arrivata nelle ultime posizioni.

Avevo in mente un’ultima domana sul concerto per il tuo cinquantunesimo compleanno, che hai fatto all’Alkatraz a Milano, mi aspettavo qualche colpo di scena in più, magari qualche ospite in più…
Ma sai, io non sono uno che… vedi per avere tanti ospiti devi essere un po’ “lecchino”, devi chiamarli uno ad uno e tirar fuori tutta una serie di frasi di circostanza… “come stai?”, “ti vengo a prendere”, “ho sentito il tuo disco… bellissimo… mi piacerebbe dividere con te…” quindi in realtà nella mia vita ho fatto solo i duetti che venivano spontaneamente. Mi sento a disagio se devo chiamare uno e pregarlo non ce la faccio, non è nel mio carattere. Per cui c’erano dei miei amici come Davide Van Des Fros, c’era Andrea. Io farò sempre collaborazioni di questo tipo.

Giancarlo Bolther

GB

Recensioni: Punk Prima di Te; All In; La Ruota; Frankenstein

Live Reportage: 2004; 2009

Altre interviste: 2004; 2005

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