INTERVISTA
AD ENRICO RUGGERI
di Giancarlo Bolther
Nel tuo
nuovo disco in uscita hai inserito una serie di cover di brani punk
e hard rock e hai riproposto alcuni vecchi pezzi dei Decibel, come
hai scelto i brani?
Sette canzoni sono state prese dal repertorio dei Decibel,
cinque dal primo album, mentre le altre due provengono da un 45 giri
del '79. Gli altri sette brani sono covers di canzoni che suonavo
in quel periodo: ci sono i Sex Pistols, i Clash, i Ramones, gli Stranglers,
David Bowie, Lou Reed e i Mott The Hoople con un brano di Bowie, ma
che era diventato un loro cavallo di battaglia (ndr All The Young
Dudes). Ogni brano è stato interamente risuonato nel massimo
rispetto delle versioni originali. Abbiamo scelto di riproporre i
brani in maniera filologica: abbiamo voluto riprodurre lo stesso approccio
e gli stessi suoni. Ad esempio nel brano dei Clash ad un certo punto
sparisce il basso, probabilmente si era trattato del malfunzionamento
di qualche impianto e credo che il gruppo non ci avesse nemmeno fatto
caso, ma noi abbiamo voluto riprodurre l’errore nello stesso
punto preciso, quindi abbiamo tolto il suono del basso come nell’originale.
In altri brani ci sono degli errori armonici e li abbiamo lasciati
riproducendoli, perché il risultato fosse il più fedele
possibile. In altre parole si è trattato di un vero e proprio
atto di amore. Per quanto riguarda la scelta, questa ha riguardato
i personaggi che sono da sempre i miei preferiti in assoluto. Ad esempio
i Mott The Hoople sono una mia grande passione, una band che purtroppo
non ha avuto il giusto riconoscimento.
Hai provato
più nostalgia nel suonare questi vecchi brani o una specie
di seconda giovinezza?
Tutte e due le cose insieme, ma soprattutto ero veramente
molto contento. Abbiamo registrato il disco in tre giorni e abbiamo
impiegato altri tre giorni per mixarlo. Durante le registrazioni suonavamo
in diretta, pertanto ad ogni errore bisognava ripetere tutto e devo
confessare che spesso “speravo” che qualcuno sbagliasse
qualcosa, così avevo la possibilità di ricantare il
pezzo!
Il mio
brano preferito del tuo repertorio è “Punk Prima di Te”,
un pezzo che suona molto autobiografico, ci puoi raccontare qualcosa
di più di questa canzone e del tuo passato da rockettaro?
Punk
Prima Di Te sarà anche il titolo del mio nuovo album. E’
una di quelle canzoni che nascono quanto ti guardi indietro e senti
il desiderio di ribadire la tua opinione su un determinato periodo
che hai vissuto in prima persona. Incominciando a ripensare al mio
passato, mi venivano in mente tanti flashback, tanti ricordi e ho
cercato di inserirli nel testo. All’inizio voleva essere una
canzone polemica, ma poi per fortuna il testo è diventato man
mano più profondo e penso che questo sia stato un bene. Penso
che il primo album dei Decibel sia stato molto importante per la scena
rock italiana, uno stimolo per tutti le bands che sono venute dopo
di noi. Sicuramente è stato molto ascoltato dai gruppi come
i Litfiba, che hanno proseguito il discorso che noi avevamo iniziato.
Ascoltando la musica di molti gruppi rock italiani spesso ho avuto
l’impressione di ascoltare i Decibel con un cantante diverso!
Com’era
la scena rock in Italia quando hai iniziato a suonare?
Era
molto vergine. In quel periodo andavano i gruppi come i Collage, i
Camaleonti, i Dik Dik che erano prettamente pop. Si vestivano con
il pantalone bianco e indossavano la giacca pastello e sul palco proponevano
brani molto melodici. Pertanto noi avevamo davanti un’autostrada,
in un certo senso ci siamo trovati al posto giusto nel momento giusto.
Per me l’esplosione del movimento punk non è stato una
sorpresa, nei primi ’70 ci sono stati tutti i grandi gruppi
prog che, spingendosi verso un tecnicismo esasperato, avevano perso
quell’immediatezza che il rock doveva avere e avevano esasperato
la scena musicale. I primi segnali di cambiamento erano già
arrivati con artisti come gli Stooges di Iggy Pop e i New York Dolls,
che hanno precorso la rivoluzione punk.
Pensi
che coi Decibel non siate riusciti a raggiungere i vostri obbiettivi?
Se parliamo
da un punto di vista commerciale sicuramente non abbiamo raggiunto
quello che potenzialmente era nelle nostre possibilità, ma
se parliamo da un punto di vista di soddisfazione personale allora
devo dire assolutamente si, li abbiamo raggiunti. Quello che a me
è sempre interessato, allora come oggi, è suonare, mentre
non ho mai cercato di scalare le classifiche, è una cosa che
non mi interessa. Questa intervista che stiamo facendo, dove parliamo
dei gruppi degli anni settanta e della storia del rock, per me a livello
di soddisfazione personale vale tanto quanto un primo posto in classifica.
Perché
vi siete sciolti?
Perché
eravamo giovanissimi! Abbiamo subito delle pressioni molto forti,
ci sono state delle liti, la casa discografica si divise, in altre
parole ci siamo trovati a dover affrontare dei problemi più
grossi di noi e siamo rimasti schiacciati da questi. Eravamo imbevuti
di punk, eravamo dei ribelli e volevamo fare musica di rottura. Col
secondo disco abbiamo cercato di sperimentare sonorità più
elettroniche ispirati dai Roxy Music. Con il successo che ha seguito
il brano “Contessa” siamo finiti a fare dei concerti dove
venivano le ragazzine di quindici anni a tirarci i peluches sul palco,
questo ci metteva veramente a disagio. Noi amavamo gli artisti “maledetti”,
volevamo sperimentare nuove sonorità e il successo ci ha disorientati.
Qualcuno
ha affermato che in Italia il rock non è mai esistito, perché
quello che c’è è frutto dell’imitazione
di artisti stranieri, in altre parole non esiste una vera scena con
dei connotati precisi e una sua identità, tu cosa ne pensi?
Se questa
affermazione fosse vera allora in italia non avrebbe senso nemmeno
parlare di una scena jazz, perché anche artisti come Buscaglione
e Conte si sono ispirati agli americani. Ma non avrebbe senso nemmeno
parlare di pop italiano e quindi anche di rock. E’ sicuramente
vero che a quindici anni io ero più vicino come sensibilità
ad un ragazzo di Londra, che non ai miei coetanei che ascoltavano
la musica italiana, ma questo riguarda la preferenza per determinati
modelli. All’estero nascevano dei movimenti musicali che poi
venivano portati avanti anche in Italia. Senza i Beatles non ci sarebbero
stati nemmeno gli Equipe 84 e i Camaleonti!
Secondo
te quali sono gli artisti italiani più rock?
E’
difficile rispondere a questa domanda, un nome che sicuramente posso
fare è quello di Finardi, che come me è sempre stato
più proteso verso quello che succedeva all’estero. Un
altro nome è quello di Tozzi, ma Umberto non è mai stato
un artista “italiano”, lui ha sempre avuto un’anima
assolutamente internazionale. A questo punto bisogna però affermare
che fare rock non vuol dire necessariamente suonare con le chitarre
distorte, ma è cercare di fare musica di rottura, cercare di
cambiare le regole del gioco. Poi ci sono stati anche i grandi gruppi
italiani di prog come la PFM, il Banco e tutti gli altri, ma spesso
per questi gruppi i testi deprimevano la musica. Quando ascoltavi
i capolavori come Selling England By The Pound o Close To The Edge
sentivi la perfezione, tutto era magnifico, irraggiungibile, mentre
il nostro prog non ha mai toccato questi livelli.
Nella
tua carriera hai sempre proposto brani molto diretti insieme ad altri
molto romantici e intimisti e sono convinto che ci sia un comune denominatore
fra queste due anime…
Per
me i testi sono sempre stati fondamentali, mi piace molto scrivere
e raccontare storie e questo ha influito pesantemente sulla musica
che abbiamo composto. Del resto, come ben saprai, tutti i gruppi Metal
hanno sempre prodotto dei lenti stupendi, le cosiddette “ballad”,
basta pensare agli Scorpions, agli Aerosmith… Non a caso i brani
più melodici escono spesso dalla penna di Schiavone, che ha
una formazione prettamente heavy metal.
A proposito
di Schiavone, un altro brano a cui sono molto legato è “Facciamo
la Band” e penso parli del tuo rapporto artistico con lui…
Si certo,
ma parla anche di come sono io stesso e di come mi vedo. Io mi sono
sempre considerato come il cantante di una band e mi piace la vita
da band. Quando facciamo delle tournée viaggiamo insieme sullo
stesso mezzo, dormiamo nello stesso albergo e io mi adeguo sempre
in base alle possibilità degli altri ragazzi. Io ho più
mezzi economici, ma piuttosto di andare in alberghi lussuosi dove
mi versano anche da bere, preferisco stare coi miei amici in un albergo
da una stella. Ma questo mi viene spontaneo, fa parte della mia personalità,
è quello che mi piace fare.
Andrea
Mirò ha inciso un brano con David Surkamp, lo storico cantante
dei Pavlov’s Dog, mi puoi parlare del vostro incontro, che tipo
è David e se siete rimasti in contatto?
Ho scoperto
che David era in Italia guardando il programma di Red Ronnie. Ho sempre
amato i Pavlov’s Dog, sono una band immensa, una grandissima
promessa incompiuta. Ho preso immediatamente in mano il telefono e
ho chiamato in trasmissione per parlare con lui. Così ci siamo
incontrati e abbiamo scoperto di avere gli stessi gusti, ad esempio
condividiamo la passione per gli Sparks e abbiamo fatto subito amicizia.
Andrea stava registrando il suo disco e David era venuto ad ascoltarci.
Sentendo la cover del brano di James Brown (non nella versione originale,
ma in quella proposta da Nico), Surkamp ha deciso di cantare con noi.
E’ stata davvero una grande serata e da allora siamo rimasti
in contatto. Sai, lui mi invidia molto perché, come si può
immaginare guardando alla sua discografia, è un tipo molto
pigro e vedendo che io avevo già fatto ventidue album è
rimasto molto impressionato, poi quando ha saputo che avevo scritto
anche cinque libri si è messo a rincorrermi per il ristorante
impugnando una forchetta!!!
Parlando
di artisti stranieri, mi hanno detto che eri presente al concerto
di Alice Cooper a Montichiari, che ricordo hai di quella serata?
Certo
che ero presente! Ho un figlio di quattordici anni e condividiamo
le passioni musicali, lui è molto più portato per l’heavy
metal, mentre io lo sono più per il punk, ma Alice mette entrambe
d’accordo. Quel concerto per mio figlio è stato il giorno
più bello della sua vita e per me rappresenta il momento più
felice come padre.
Se tu
dovessi fare una classifica dei primi dieci album di rock duro cosa
sceglieresti?
No More Heroes – Stranglers
Never Mind the Bollocks – Sex Pistols
School’s Out – Alice Cooper
Il primo dei Clash
Il primo dei Ramones
Il primo dei New York Dools
Lust For Life – Iggy Pop
Pin Up – David Bowie
Il primo dei Black Sabbath
Deep Purple in Rock
Ne ho già detti dieci, ma voglio aggiungere almeno altri due
capolavori che sono il Live dei Mott The Hoople e Led Zeppelin III,
ma mentre sto parlando mi vengono in mente un sacco di altri titoli.
Nella
tua discografia c’è un disco a cui sei più legato,
quello che ti rappresenta meglio?
Devo
dire che sono più affezionato a quelli che hanno venduto meno,
penso che sia così un po’ per tutti gli artisti. Sai
sarebbe molto facile risponderti che sono molto legato a Peter Pan,
ma in realtà ne preferisco altri come Fango E Stelle, un album
molto ardito, con un’attitudine progressive e che è arrivato
o troppo in ritardo o troppo in anticipo e pertanto non è stato
capito.
Diversamente
c’è né uno di cui non sei rimasto soddisfatto?
No,
quando li ho fatti mi rappresentavano per quello che ero in quel periodo,
sono come delle fotografie. Certo, riguardandole oggi magari penso
“ma guarda che pantaloni ridicoli che indossavo!”. Riascoltando
oggi certi lavori ci sono dei brani che mi piacciono ancora così
come sono, mentre ce ne sono altri che ovviamente oggi registrerei
in modo diverso, ma in quel momento mi rappresentavano e quindi vanno
bene così.
Dopo
aver inciso tante canzoni oggi per te è più facile o
più difficile fare un nuovo album?
E’
un po’ più complesso, perché mi capita che inizio
a scrivere di un argomento e poi mi accorgo di avere già parlato
di questo in un altro pezzo, ma andare in studio a suonare mi diverte
sempre. Ho la fortuna di avere un mio studio personale e per me è
sempre una festa poterci andare per suonare. Non sono un’artista
che usa molto il computer in studio, perché mi piace la musica
suonata, quella diretta e questo mi permette di divertirmi sempre.
Alcuni
musicisti come Finardi e la Ruggiero hanno dato vita ad un contro
festival a Mantova, hai sentito di questa iniziativa, cosa ne pensi?
E’
stata un’esperienza davvero molto interessante, tutte le occasioni
per suonare dal vivo sono molto positive. Purtroppo in quel periodo
ero in studio a registrare, ma mi sarebbe piaciuto partecipare e lo
avrei sicuramente preferito piuttosto di far parte dell’ultima
edizione del festival di Sanremo.
So che
stai pianificando dei concerti, saranno più rock rispetto al
passato?
Abbiamo
diviso idealmente il tour in tre parti. La prima che si sta svolgendo
in questi giorni è più teatrale e intimista, io faccio
un po’ il “chansonière”, ma non mancano delle
sorprese e dei momenti più “rock”, che spero saranno
piacevoli per il pubblico. La seconda parte in Aprile sarà
portata nei clubs, con preferenza per il mio repertorio più
duro. La terza parte in Maggio sarà un compendio delle due.
Per concludere
vuoi esprimere un saluto ai nostri lettori?
Un saluto
affettuoso dallo zio Rouge!
In confidenza, “fratello maggiore” mi sembra un po’
poco, “padre” è sicuramente eccessivo, mentre “zio”
penso possa andare bene. Ciao!
GB
Recensioni: Punk Prima di Te; All
In; La Ruota; Frankenstein
Live Reportage: 2004; 2009
Altre interviste: 2005; 2009
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