Rock Impressions
 

I MARILLION
di Michele Maestrini


I Marillion sono stati uno dei gruppi più validi degli anni 80, il loro esordio Script For A Jester’s Tear è da considerarsi un caposaldo del new prog ed è indubbiamente il disco che ha riproposto con autorevolezza sonorità ormai morte da anni e verso le quali pochissimi nostalgici nutrivano ancora interesse. Inoltre è da rilevare che la casa discografica che li ha sempre distribuiti, la EMI, è un colosso, che ha garantito una visibilità ben superiore rispetto ad altri pur validi gruppi dello stesso periodo. Grazie ad una dose massiccia di melodia e ad alcuni singoli azzeccati (Kayleigh su tutti), i nostri hanno fatto tornare in classifica, come un fulmine a ciel sereno, un genere che tutti, la stampa per prima, credevano definitivamente defunto.
Il gruppo ha vissuto due fasi principali, anche se con il nuovo corso attuale potremmo parlare di una terza, ma in questa sede mi limiterò a presentare il periodo più progressivo, quello dominato dal frontman carismatico Fish, istrione e fedele alunno del Peter Gabriel style, per quanto riguarda la dimensione live e parte di quello caratterizzato da Steve Hogarth. Il tipico Marillion sound è caratterizzato da grandi melodie e una tecnica notevole anche se mai esasperata; i riferimenti ai gruppi del passato sono massicci, specialmente per ciò che riguarda i Genesis, verso i quali sia Fish che il tastierista Mark Kelly sono profondamente debitori. Aggiungiamo una chitarra quasi alla Dave Gilmour e una sezione ritmica potente e precisa, con i riff di basso di Trewavas e le ritmiche molto personali di Ian Mosley e abbiamo il tipico sound della band.
Del secondo periodo, quello caratterizzato dall’ingresso del nuovo cantante Steve Hogarth, ci sono alcuni ottimi album, dei quali Brave è da alcuni definito come il capolavoro della band, anche se, pur essendo un disco eccellente, personalmente penso che è fondamentalmente un’opera quasi forzatamente prog, che sfrutta alcuni dei principali clichè del genere e ne risulta cosi un po’ troppo ruffiana. Il nuovo singer è si più dotato tecnicamente di Fish ma è sicuramente meno caratteristico e unico.
La discografia che ci interessa arriva comunque fino ad Afraid Of Sunligh e comprende quindi parte del secondo periodo, in quanto caratterizzato da album con sonorità “simili” al primo periodo, anche se si notano già molte differenze. Poi la band si perderà nei meandri di un rock-pop sempre di ottima fattura, ma che di progressivo ha ben poco.

Script For A Jester’s Tear (1983)
"So here i am once more..." canta un ispirato Fish per quello che rimarrà un verso di apertura memorabile di un album ottimo, ma la cui importanza storica supera quella puramente qualitativa. Il sound è ancora grezzo con il batterista Mick Pointer che si dimostra un po’ inesperto, ma le canzoni sprigionano un’energia incredibile, con delle sonorità che per gli amanti del prog sinfonico, e dei Genesis in particolare, risultano essere un balsamo per le orecchie. Album fondamentale in ogni discografia progressive e punto di partenza di una serie di gioielli sfornati dalla band uno di seguito all’altro. Contiene classici come la title track, Garden Party e Forgotten Sons. 9/10

Fugazi (1984)
Fuori Mick Pointer a causa delle divergenze con Fish i Marillion non riposano sugli allori ma sfornano un album molto particolare e originale dove il nuovo batterista Ian Mosley, già visto in giro con con Steve Hackett, può sfoderare tutte le doti tecniche di cui è in possesso. Il sound è inquietante e oscuro e la band percorre una strada fatta di sperimentalismi, che abbandonerà subito dopo per ritornare alle sinfonie romantiche dell’esordio. Un album comunque ottimo e uno dei migliori del gruppo. 9/10

Misplaced Childhood (1985)
Chi non ha mai sentito almeno una volta nella vita Kayleight per radio alzi la mano! La canzone in questione diventa il pezzo più famoso sfornato dai nostri, anche se sicuramente non è il più rappresentativo. Fortunatamente l’album si mantiene su livelli eccellenti e la forma concept non fa altro che esaltarne la bellezza. Un album che scorre dall’inizio alla fine come se si fosse di fronte ad un’unica canzone romantica e a tratti struggente dove la chirtarra di Rothery e la voce di Fish la fanno da padrone. Capolavoro. 10/10

Clutching At Straws (1987)
Un disco oscuro e affascinante, musicalmente ottimo. Le liriche di Fish sono fra le più tormentate e i testi hanno un certo tono dark che persiste lungo tutto il disco; non per niente la crisi all’interno della band, fra il cantante e i componenti restanti, si è fatta ormai insanabile e porterà alla separazione definitiva. L’album rappresenta bene il tormento e le sofferenze di un Fish che sa di dover abbandonare la band di li a poco, anche se il risultato è comunque eccellente e la band avrebbe potuto continuare tranquillamente il suo corso con l’istrionico singer. 9/10

The Thieving Magpie (1988)
Live uscito postumo dopo la fuoriuscita di Fish e che rappresenta bene la band nella dimensione dal vivo; la prima parte del disco contiene alcuni dei classici sfornati dalla band estratti dai primi quattro album, mentre il secondo cd cattura tutta l’esecuzione live di Misplaced Childhood. Un disco che chiude un’era e che fotografa alcuni momenti in cui i gruppo è alle stelle con tutti i membri della band in forma smagliante. 9/10

FISH LASCIA LA BAND… ARRIVA STEVE HOGARTH!

Seasons End (1989)
Sicuramente uno degli album più difficili per una band che doveva fare i conti con un pubblico affezionato a Fish e restio al nuovo acquisto, il cantante Steve Hogarth. Il nuovo singer è molto dotato, con un ottima estensione vocale e una voce calda, anche se lo stile è molto più, passatemi il termine, bonjoviano e sicuramente meno originale del primo cantante. Musicalmente l’album si discosta poco rispetto ai dischi precedenti e le canzoni sono per lo più le stesse che dovevano finire sul successore di Clutching At Straws, ma senza le liriche scritte da Fish, le quali vengono cambiate con i testi nuovi di zecca di Hogarth. L’album è molto sottovalutato, ma contiene ottimi brani, fra i quali spiccano la title tack, The Space e Berlin e si pone a cavallo fra le due ere del gruppo. 8/10

Holidays In Eden (1991)
Chi temeva che la band iniziasse a percorrere territori più commerciali con l’ingresso di Hogarth ne ha avuto conferma dopo l’uscita di questo disco. Mentre l’apporto del nuovo cantante era in Seasons End quasi pari a zero, in questa nuova fatica si fa più massiccio, le canzoni e il sound della band ne sono pesantemente influenzati, come pesante è l'influenza anche dalla casa di scografica che minacciava di scaricare il gruppo. L’album è essenzialmente un disco pop nel quale spiccano qua e là canzoni molto belle come Splintering Heart e Party. Un album comunque quasi perfetto in quanto a produzione e grazie al “suono” globale della band, un'opera comunque da rivalutare al giorno d’oggi dopo l’uscita degli ultimi mediocri dischi del gruppo. 7/10

Brave (1994)
Vuoi per le critiche ricevute dai fans, vuoi per la maggiore libertà lasciata dalla casa discografica i nostri se ne escono con un disco puramente progressive. L’album si snoda tra canzoni legate fra loro in un concept in pieno stile progressivo, in cui le suggestioni e gli stati d’animo passano da fasi tristi e malinconiche a fasi più aggressive e arrabbiate fino a canzoni più rilassate. Molti affermano che questo sia l’apice della band e in effetti è difficile trovarne dei punti deboli, anche se forse il vero punto debole sta proprio in questa ricerca di un suono canonicamente prog. Un album comunque eccellente dove la band forma un tappeto sonoro ideale per la voce di Hogarth, che riesce benissimo ad interpretare la malinconia di fondo dell’opera. 10/10

Afraid Of Sunlight (1995)
Ecco, a mio avviso, l’album perfetto per Hogarth; canzoni a metà strada fra il pop di Holidays In Eden e altre songs più progressive e comunque ottime sia a livello compositivo che “emozionale”. Comunque, anche se si tratta di musica di facile ascolto, resta sempre piuttosto originale. L’album è composto da otto canzoni fra le quali spiccano la stupenda Out Of This World e le belle Gazpacho e la title track. Un album che sarebbe potuto risultare ottimo se non fosse per qualche caduta di tono, comunque un disco molto piacevole da ascoltare. Ultimo album "da avere" della band forse più importante degli anni 80. 8/10

Made Again (1996)
Come il live The Thieving Magpie chiudeva un’era della band ecco che questo live, come in un circolo perfetto, ne chiude un’altra. Siamo di fronte ancora a due dischi, uno con alcuni dei classici del gruppo, anche se forse c’è uno sbilanciamento verso la forma più commerciale, e l’altro, il secondo, con la riproposizione integrale di Brave sempre dal vivo. Unico appunto le versioni di Kayleigh e Lavender, a mio avviso, dovevano essere lasciate alla memoria passata e non riesumate con un’interpretazione inutile di Steve Hogarth. 7/10

MM

Recensioni:
Script For a Jester's Tear; Marbles; Happiness is the Road

Intervista

Live Reportages: 2004; 2007

Sito Web


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