| C’è 
            metal e metal. Quello più classico, tende a volte in modo inevitabile 
            all’autoreferenzialità, diventando sempre più 
            difficile per i suoi fautori cimentarsi in qualcosa di veramente nuovo 
            senza finire a scopiazzare i capiscuola. Così accade che diventino 
            inevitabilmente i dettagli a fare la differenza. “Blind Fire” 
            è un compendio di ciò che ha rappresentato il metal 
            più virtuoso negli ultimi trent’anni, nel quale però 
            si è riusciti a “miscelare” senza fare un minestrone 
            puro e semplice. Impossibile, dunque, scandagliare quest’album 
            in venti righe, si può provare a dare un saggio di qualche 
            “dettaglio”.
 Sin dal brano d’apertura (“Shadows In The Rain”) 
            si ascolta un prog-power metal ispirato, che presta attenzione tanto 
            all’aspetto tecnico che a quello della bontà del pezzo.
 Su “King Of The Night” la band si diverte anche con inserti 
            più rockeggianti, sia per l’ottima interpretazione canora 
            che per gli inserti simil-hammond dei bridge. Le inquiete aperture 
            della pomposa “Hellhorn” (gran pezzo), le appassionate 
            melodie di “Sentenced” (che si avvicinano molto ad alcuni 
            mood degli Ark di Tore Ostby). Il progressivo incalzare delle battaglie 
            solistiche tastiera/chitarra di “Run Down To The Hill”, 
            dove sembra di risentire il sommo Yngwie ed il connazionale Jens Johansson 
            del periodo d’oro dei Rising Force. Si passa anche per l’hard 
            rock del Malmsteen anni ottanta, quello dei ritornelli di “Heart 
            Of Darkness”, in cui il singer sembra fare il verso ai coretti 
            del mitico Goran Edman. Chiude il sipario ancora un brano ad hoc, 
            e cioè “Learn To Live”, una sorta di maestoso inno 
            nel quale la voce di Tuomas Heikkinen ha la possibilità di 
            mettere in luce la sua innegabile capacità tecnica ed interpretativa.
 
 Poi va a finire che quando si sente qualcosa di affine al power fatto 
            col cuore si scomodano sempre i Rainbow del periodo Dio-Powell. Come 
            dire che ogni buon chitarrista rock non potrebbe mai prescindere da 
            Hendrix. C’è personalità, ricerca di un sound 
            moderno, e buona preparazione tecnica. Già un classico? FR
 
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