Tornano puntuali i norvegesi Gazpacho, una band che ci ha coinvolti
disco dopo disco, guadagnando la nostra stima. Il loro stile post
moderno è fra i più personali. Nel loro percorso sono
partiti da un mix di Marillion e Muse, ma oggi non si rifanno a nessuno
in particolare, hanno trovato una loro originalità. Trattano
temi filosofici, religiosi e letterari, con musiche dense di pathos
e di atmosfere a tinte fosche, quasi dark. Talvolta non disdegnano
di sperimentare anche strumenti non convenzionali.
Questo nono album è incentrato sul rapporto tra fede e scienza
e in un certo senso è legato al disco precedente. Il Molok
era una divinità pagana cananea che pare chiedesse il sacrificio
di bambini, per questo è poi stato considerato anche un demone,
ecco il legame col disco che si intitolava appunto Demon. Si parte
dai suoni oscuri e inquietanti di “Park Bench”, un brano
cadenzato, sorta di marcia funebre su cui si distende un cantato fatalmente
evocativo. Ma il brano cambia continuamente fino ad assumere i connotati
di un prog post moderno di ottimo spessore. E ancora non è
finita, perché la melodia portante ritorna come un'onda, negli
intermezzi ci sono varie parti musicali, distinte e tutto concorre
a formare questa processione armonica dal sapore triste. “The
Master’s Voice” è una ballata stralunata, per certi
versi conserva le intuizioni del brano precedente, espandendole in
un vortice discendente, ugualmente malinconico. Più leggera
“Bela Kiss”, che ha un ritmo giocoso, a volte gitano,
una danza dalle movenze sensuali.
Con “Know Your Time” si torna ad atmosfere gotiche, il
basso spinge un andamento cadenzato, più rock, ma non meno
avventuroso, bello il cantato, ora dolce e carezzevole, ora inquietante
e tenebroso. L’energia si convoglia nella solenne “Choir
of Ancestors”, retta da una melodia fortemente epica. “ABC”
contiene dei bei momenti, ma nel complesso è il brano più
prevedibile del lotto e di conseguenza mi ha colpito meno. Inizialmente
“Algorithm” ha l’incedere di una danza orientale,
ma poi diventa decisamente rock. “Alarm” ha una linea
melodica molto suadente, che ne fa uno dei brani di più facile
ascolto, anche se conserva molti degli elementi originali del gruppo,
comunque il pianoforte verso la chiusura è quanto mai allarmante.
Chiude questa raccolta la lunga “Molok Rising”, dove ascoltiamo
anche strumenti antichi e molti cambi d’atmosfera, una suite
che condensa le caratteristiche di questa band che ama ancora sperimentare
nonostante tutto. Molto allarmante il rumore finale, secondo una teoria,
pare che in presenza di un particolare allineamento degli elettroni
dell’universo, questo "click" ne potrebbe causare
la distruzione.
Gran bella conferma questi Gazpacho, che ci fanno ascoltare musica
senza pregiudizi, forse un tantino oscura, ma densa di suggestioni.
Ancora un volta si sono dimostrati capaci di emozionare dove altri
non sono riusciti a lasciare un segno abbastanza profondo e date le
premesse credo che per loro il futuro sia ancora molto promettente.
GB
Altre recensioni: Night; March
of the Ghosts; Demon
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