Rock Impressions

.
******* OVER THE TOP *******
.
Gazpacho - Demon GAZPACHO - Demon
K-Scope
Distribuzione italiana: Audioglobe
Genere: Post Modern Prog
Support: CD - 2014


Per chi non lo sapesse lo strano nome di questa band norvegese indica una zuppetta fredda a base di verdure tritate di origine spagnola, niente di così misterioso, però la musica e l’iconografia di questa band ci hanno intrigato disco dopo disco, in un crescendo che sembra non avere fine. Il gruppo ha una decina di anni sulle spalle, con diversi album, partendo dalla scuola Marillon hanno sviluppato un sound sempre più personale e sempre più ricercato, lo possiamo chiamare post modern prog, se vi piacciono le etichette, ma quello che conta è che si tratta di una band che ha sempre cercato di evolversi.

L’immagine di una mandragora, l’erba antropomorfa tanto cara agli esoteristi, campeggia in copertina e sotto le sue radici compare il titolo poco rassicurante dell’album, Demon. Quattro brani fanno da trama, di cui uno è diviso in due parti. Si inizia con “I’ve Been Walking part 1” la voce sensuale e senza tempo della cantante si adagia su un tappeto neoclassico molto gotico, ma il brano prende forza con l’ingresso di tutta la band, che propone una progressione degna dei King Crimson di Red. Poi l’atmosfera torna a rarefarsi e incontriamo un’alternanza di parti vigorose e altre oniriche di ottima fattura. La parte finale del pezzo è da brividi, con una conclusione dal sapore dark palpabile, dominata da un violino carico di una nostalgia folk indicibile. “The Wizard of Altai Mountain” è l’unico brano breve del disco, poco meno di cinque minuti, ma quante cose contiene, l’inizio è indefinibile, molto elegante, con sonorità vagamente folk e gotiche al tempo stesso, stregata e splendida la melodia del cantato, così evocativa e sognante, che dire poi del finale gitano. Segue “I’ve Been Walking part 2” che ci cala subito in un mood molto misterioso, ancora troviamo una bella alternanza di parti tranquille ad altre piene di vigore, sopra tutto brilla il senso di dramma, conferito da un songwriting davvero ispirato, che in certi momenti raggiunge delle vette di lirismo insospettate. Chiude la lunga “Death Room”, la suite si apre con un intro inquietante, seguito da una partitura minimalista piena di fascino oscuro, il brano sfiora i venti minuti ed è molto difficile raccontarne ogni sfumatura, ma ci sono momenti davvero particolari e fascinosi, come la danza decadente che si sviluppa a metà brano, tanto teatrale quanto spettrale, che poi si trasforma in un rock ruvido di grande spessore, un brano tanto visionario quanto magistrale.

I Gazpacho ci dimostrano che è ancora possibile scrivere musica lasciando libera l’immaginazione e la voglia di raccontare storie attraverso delle composizioni intriganti e molto ben costruite, certo trovare un disco come questo non è né facile né scontato, rischia di restare cibo per pochi, ma questi pochi possono avere la possibilità di assaporare una musica unica. GB

Altre recensioni: Night; March of the Ghosts; Molok

Sito Web




Flash Forward Magazine

Indietro alla sezione G