| Ecco 
            finalmente l’album di esordio di questi musicisti di Sapporo. 
            Devo dire che la prima impressione è stata di una parziale 
            delusione, perché vari brani erano già presenti sul 
            demo e sul live, ma ovviamente qui si tratta delle versioni definitive, 
            registrate come si conviene. La formula psichedelico hard progressive 
            viene mantenuta e se possibile potenziata.
 Tanto per chiarire subito gli intenti viene proposta in apertura una 
            stralunata e ultra acida versione di “Kashmir” dei Led 
            Zeppelin, questa era presente anche sul live col titolo “Long 
            Way to Kashmir”, ma vi assicuro che senza le note di copertina 
            è davvero difficile riconoscere la paternità del brano, 
            anche se è chiaro ed evidente il riferimento agli Zep. Segue 
            “Spiral”, anche questa già comparsa sul live, un 
            brano strumentale che mi era piaciuto molto per le sue geometrie avvolgenti 
            e ipnotiche, la nuova versione rende più leggibile il brano 
            e forse gli toglie un po’ di quella carica selvaggia che aveva 
            sul live, ma rimane comunque una prova dal grande impatto. “Kami-No 
            Chishiki” è la prima traccia nuova, un brano poetico 
            retto in apertura da un flauto onirico e da un complicato giro di 
            basso, poi entra il cantato in lingua madre e il risultato non è 
            davvero molto positivo, non so se colpa dell’incisione o del 
            gruppo stesso, ma suona davvero male con dissonanze fastidiose. “Island” 
            è un’altra traccia nuova, molto canonica con il suo giro 
            di organo settantiano, ma di indubbio effetto. La componente hard 
            rock è sempre predominante e anche nella tenebrosa “Maze 
            of Psycho”, che è e resta il mio brano preferito di questa 
            formazione, sovrasta un po’ quello dark e gotico e questo un 
            po’ mi dispiace. “Umi-No Koe” è un altro 
            esempio di quel ponte verso il prog, talvolta con cenni sinfonici, 
            proteso dal gruppo, che è molto più convincente quando 
            invece gioca su terreni più duri, qui il risultato è 
            più prevedibile. Chiude l’impressionante maratona di 
            “Shangri-La”, quasi venti minuti di follia visionaria, 
            dove la psichedelia, il prog e l’hard rock si fondono in un 
            concentrato espressivo che ricorda le jam sessions dei Deep Purple 
            o ancora dei Zeppelin dal vivo e di tutti i gruppi di quel periodo 
            di cui i Free Love si fanno portavoce verso le nuove generazioni.
 
 Non so quanto possa pagare la scelta artistica di questi musicisti, 
            che presumibilmente resteranno nel circuito underground, ma di certo 
            vale la pena di scoprirli. Il processo evolutivo è solo all’inizio 
            e questo disco non è il capolavoro che avevo sperato, perché 
            la band gioca su terreni meno sperimentali di quanto avrei voluto, 
            ma questi sono i Free Love, prendere o lasciare. GB
 
 Altre recensioni: Incubus; Official 
            Bootleg vol.1
 |