| Alice 
            Cooper è un'icona vivente del rock. Più che precursore, 
            ha saputo innovare una scena povera di veri talenti. La sua è 
            stata una vita di eccessi discutibili, ma oggi Alice, senza rinnegare 
            il suo passato pieno di ombre, è riuscito a trovare la serenità 
            e la forza per tornare ai vertici della scena musicale mondiale.
 Dragontown è l'ultimo di una serie di dischi riusciti e non 
            smentisce le attese. In pratica è il seguito di Brutal Planet 
            e ne ricalca le atmosfere, che si fanno ancora più torride 
            e malsane, Alice descrive Dragontown come "la peggiore città 
            di Brutal Planet". Hard Rock moderno in bilico fra stoner, grunge, 
            love metal e il sound settantiano che ha caratterizzato i primi lavori 
            del nostro.
 
 Un album teatrale e sofferto nella migliore tradizione di Cooper, 
            che non sta seguendo delle mode, ma che ne trae ispirazione, le rivitalizza 
            e le guida da consumato leader della trasgressione. Pensate ad un 
            incrocio fra "The Chemical Wedding" di Dickinson, "This 
            Dollar Save..." dei Lucyfire, il meglio del grunge e dello stoner 
            e i grandi album come Love It To Death e Welcome To My Nightmare. 
            Non c'è un solo brano, dei dodici proposti, che sia sotto la 
            media e ognuno ha un proprio groove differente dagli altri. Il disco 
            è un concept sugli aspetti più oscuri dell'uomo e un 
            rapido sguardo sui brani è la cosa migliore per descriverlo.
 
 "Triggerman" apre le danze con un riffing veloce in perfetto 
            stile HIM. "Deeper" è uno stoner serrato. "Dragontown" 
            è un brano teatrale che inizia lento e si fa via, via sempre 
            più trascinante. "Sex Death and Money" è una 
            song gotica con un gran basso e un refrain molto dark wave. "Disgraceland" 
            presenta un torrido rock 'n' roll come ai bei tempi. "Sister 
            Sarah" è un brano lento a metà strada fra il doom 
            più sulfureo e il funky dei RHCP. "Every Women Has A Name" 
            è un brano dolcissimo che insieme a "Only Women Bleed" 
            e "Take It Like A Woman" formano un trilogia perfetta. "Just 
            Wanna Be Good" (ndr or God???) riapre drasticamente le belligeranze. 
            Un altro brano molto seventies e pop che recupera le atmosfere dei 
            primi lavori di Alice è "It's Much Too Late". Il 
            disco si chiude con la cattiva "I Am The Sentinel" a suggello 
            di una grande prova d'autore.
 
 L'interpretazione vocale è perfetta, sui musicisti che accompagnano 
            Alice non ho nessuna nota, purtroppo, ma dovrebbero essere gli stessi 
            di Brutal Planet, una squadra compatta che non perde un colpo. Un 
            disco forte e imperativo che chiede prepotentemente di essere piazzato 
            nella vostra discografia! GB
 
 Altre recensioni: The Eyes of Alice Cooper; 
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