Spettacolare doppio cd per questa band australiana! Scusate l’inizio 
            alquanto entusiastico, che all’apparenza potrebbe sembrare dettato 
            dall’enfasi del momento. No, non è così, ne ho 
            ascoltati di dischi Prog in anni ed anni della mia vita, ma questo 
            doppio cd dal titolo “The Garden” mi ha colpito ascolto 
            dopo ascolto. È il classico disco che ogni sostenitore del 
            genere deve assolutamente avere nella propria discografia. Non mancano 
            dunque tastiere ridondanti, atmosfere ad ampio respiro, Genesis , 
            King Crimson, Van Der Graaf Generator, The Flower Kings, e poi suite, 
            un artwork splendido curato dal grande Ed Unitsky, insomma proprio 
            tutto, ma andiamo con calma. 
             
            La band inizia la propria carriera artistica nel 1996, ma il primo 
            album viene pubblicato solamente nove anni dopo, con il titolo “More 
            Than a Dream”. Li ritroviamo oggi con questo “The Garden” 
            che potrebbe sembrare, vista la sua prolissità, un concept, 
            però così non è. Malgrado tutto una specie di 
            filone logico lo possiede, diciamo che l’argomento più 
            trattato nelle liriche è la redenzione e si parla anche della 
            speranza che fuoriesce quando si è in casi disperati ed ovviamente 
            anche d’amore. Il gruppo è composto da Matt Williams 
            (chitarra), Mark Trueack (voce), Sean Timms (tastiere e chitarra), 
            Monty Ruggiero (batteria), Shireen Khemlani (basso) e da Tim Irrgang 
            (percussioni). 
             
            Più che carne al fuoco qui c’è una intera macelleria, 
            si comincia in sordina, quasi in punta di piedi con la delicata “One 
            Day”, un momento di piano e voce davvero toccante e d’atmosfera. 
            Il ko per il Prog fans è gia dietro l’angolo, succede 
            la suite “The Garden”, spettacolare esempio di tecnica 
            ed eleganza. In essa si incrociano mille influenze, Prog moderno alla 
            The Flower Kings e Spock’s Beard di Neal Morse, per poi passare 
            verso il finale, agli anni ’70 di Peter Gabriel. Alla conclusione 
            sembra di ascoltare un frangente di “Supper’s Ready”! 
            A questo punto potreste pensare che alla band manchi di sicuro la 
            personalità, viste le coordinate tracciate, ebbene, anche in 
            questo caso gli Unitopia colpiscono. Sanno camminare bene con le proprie 
            gambe, hanno saputo fare tesoro della musica passata e moderna , ma 
            come un mixer hanno miscelato il tutto facendo confluire l’ascolto 
            in un unico sapore. Musica totale, gli strumenti impiegati sono davvero 
            molti, dal sassofono ai flauti, percussioni tribali e tanta orchestralità. 
            Arabeggiante nella voce femminile la dolce “Angeliqua” 
            e neppure nei brani di breve durata c’è ovvietà. 
            “Here I Am” ne è un esempio, delicata e con un 
            ritornello da brano commerciale. Musicalità che riempie la 
            testa, l’ascolto è a 360 gradi, mai noioso. 
             
            Incantevole il flauto e chitarra acustica della breve “Amelia’s 
            Dream”, vorrei che non finisse mai. Pinkfloydiana in maniera 
            incredibile l’adiacente “I Wish I Could Fly”. Chiude 
            il cd la canzone più Rock dal titolo “Inside The Power”. 
            Anche la seconda parte dell’opera si apre con una suite, Journey’s 
            Friend. Attacco alla Spock’s Beard, con tastiere in crescendo, 
            intermezzo Jazz con tanto di Sax e classico finale enfatico che riprende 
            il life motiv del brano. Ritmi World nella delicata “Give And 
            Take”, più che altro voce e piano, mentre la musica diventa 
            più psichedelica con “When I’m Down”, a tratti 
            vicina al mondo dei Porcupine Tree. “This Life” si lascia 
            ascoltare con piacere grazie al mix fra Hard Rock e le melodie più 
            pacate del sassofono. Altro stupendo lento con voce femminile compresa 
            è “Love Never Ends”, mentre per chi ama il piano 
            e l’orchestra c’è “So Far Away”, un 
            pezzo che potrebbe essere benissimo racchiuso nella musica classica. 
            Ritorna il Rock più ricercato con piccole influenze anni ’70 
            in “Don’t Give Up Love” e si chiude alla grande 
            con “321”, un mix Fra Hard Rock e Prog. 
             
            Questo doppio cd sembra una colonna sonora di qualche film, tanto 
            è il materiale che ne fuoriesce all’ascolto. Non averlo 
            credetemi, è davvero una bestemmia. MS 
             
            Altre recensioni: Artificial 
           |