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            volte pensi di non avere grandi sorprese, di sapere già cosa 
            puoi aspettarti da un gruppo, in particolare se ha già dato 
            alle stampe un certo numero di album. Questo mi è capitato 
            coi Tiles, che mancano dal mercato dal 2004 e oggi arrivano al quinto 
            sigillo. I punti fermi del gruppo sono un sound devoto a Rush e Fates 
            Warning, non a caso tutti i loro dischi sono stati prodotti da Terry 
            Brown e, come se non bastasse, fra gli ospiti troviamo proprio Alex 
            Lifeson, ma da notare che ci sono anche la brava Alannah Myles (vi 
            ricordata la sua rovente “Black Velvet”?) e il folle e 
            geniale Kim Mitchell (Max Webster) insieme ad altri un po’ meno 
            noti.
 Detto questo non è che Fly Paper sia particolarmente innovativo 
            o geniale, ma è un gran bel disco, retto da strutture musicali 
            ficcanti e belle. Fin dall’iniziale “Hide in My Shadow” 
            si avverte che il gruppo non ha speso invano il tempo passato, la 
            ruvidità di certi passaggi prog metal è prontamente 
            mitigata da delle linee melodiche complesse, ma accattivanti. Il gruppo 
            negli anni ha saputo crescere e l’evoluzione sfocia nei momenti 
            più coraggiosi e propriamente prog dell’album, ecco allora 
            che non si può non gustare un brano complesso come “Sacred 
            & Mundane”, dove i suoni acidi diventano un linguaggio espressivo, 
            verso metà del brano poi c’è una progressione 
            musicale da brividi. Ma le emozioni non sono finite e tornano a farsi 
            forti con la solenne “Back & Forth”. “Landscape” 
            è fantasiosa, anche se paga un buon tributo ai già citati 
            Rush, comuque resta un brano di gran spessore. Con “Markers” 
            il disco si appiattisce un po’ su quanto espresso nella parte 
            iniziale dell’album, restiamo sempre in un contesto medio alto, 
            ma un po’ ripetitivo, così è anche per la lunga 
            e progressiva “Dragons, Dreams & Daring Deeds”. “Crowded 
            Emptiness” rimane nella scia dei brani precedenti, per provare 
            nuovamente dei brividi bisogna arrivare alla lunga track finale “Hide 
            & Seek”, una vera maratona piena di momenti riusciti.
 
 Nel vasto panorama del prog i Tiles non sono certo un gruppo che si 
            fa notare, ma col tempo hanno saputo acquisire una discreta personalità 
            e hanno dimostrato di avere la forza di migliorarsi, doti non comuni 
            che potrebbero riservarci delle belle sorprese anche in futuro. GB
 
 Altre recensioni: Tiles + Presents of Mind; 
            Dressing Windows
 
 Intervista
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