| I Theodor Bastard sono una formazione russa di grande esperienza, 
            da circa vent’anni sperimentano diversi generi musicali, folk 
            apocalittico, trip hop, world music, dark wave, cold wave, industrial, 
            electronic, ambient, senza porsi confini o limiti. Il gruppo è 
            capitanato da Fedor Svolotch, ma fondamentale è stata anche 
            l’entrata in formazione della cantante Yana Veva, musa e non 
            solo, il suo impulso è stato determinante per l’evoluzione 
            del progetto. Attorno ai due gravitano una lunga serie di musicisti, 
            che suonano gli strumenti più disparati, molte percussioni, 
            ma anche strumenti antichi, tradizionali e a volte inventati, ne esce 
            un sound magico, spirituale, ammaliante, che seduce ascolto dopo ascolto.
 
 A dire il vero la prima cosa che mi ha colpito di questo disco è 
            stato il packaging, bellissime le illustrazioni di Elia Mervi (http://eliaillustration.com/) 
            e della stessa Yana, inserite in un digipack originale, con un booklet 
            molto curato e delle scelte tonali che mi hanno subito emozionato. 
            La band in precedenza aveva pubblicato l’album Oikoumene, molto 
            più rituale del presente. Questo nuovo capitolo della loro 
            saga mostra un deciso passo avanti, rimane forte il contatto con la 
            natura e spesso si ha l’impressione di addentrarsi in paesaggi 
            nordici di rara bellezza. Su queste immagini, che sanno di terra e 
            di passioni, si stende un tappeto sonoro di grande suggestione, melodie 
            dal sapore antico, perfettamente interpretate dalla voce sensuale 
            di Yana, che incanta e cattura l’ascoltatore.
 
 Gli arrangiamenti sono ricchi e complessi, ritmi sciamanici e tantrici 
            fanno da tappeto ad una strumentazione molto ricca e varia, che comprende 
            sia strumenti tradizionali, che moderni. Le tastiere si mescolano 
            agli archi, ai fiati, alla chitarra, a diverse percussioni, un vortice 
            di suoni orchestrato con grande maestria. I singoli titoli sono poco 
            importanti perché è un disco che si ascolta volentieri 
            nel suo insieme, anche se mi sembra che “Salameika” sia 
            una delle porte di accesso più dirette all’universo sonoro 
            dei Theodor Bastard.
 
 Progetto colto e sopraffino, ricco di fascino e di sapori, ora esotici 
            ora nordici, ma sempre perfettamente in linea con un gusto sonoro 
            vicino agli amanti dei generi citati in apertura. Una vera gemma da 
            scoprire e conservare gelosamente. GB
 
 Altre recensioni: Oikoumene; Volch'ya 
            Yagoda
 
 intervista: 2020
 
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