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            Il Rock di matrice britannica, per intenderci quello classico proposto 
            da band come Beatles e Rolling Stones, ha illuminato la strada a band 
            ed artisti a seguire nel tempo. Chi non ha cantato almeno una volta 
            nella vita brani di queste band? Sono passati decenni, malgrado tutto 
            le icone continuano a risplendere e anche da noi in Italia nel nuovo 
            millennio continuiamo a suggere da questa fonte. Un esempio odierno 
            sono gli avellinesi The D, formati da The Dabbler (aka Giuseppe Matarazzo) 
            (voce chitarra, synth), The Danger (aka Ciriaco Aufiero) (chitarra, 
            cori), The Damned (aka Vincenzo Golia D'Augè) (basso, cori) 
            e The Dario (aka Dario Botta) (batteria, chitarra acustica, cori), 
            sotto la supervisione del produttore Federico Carillo.
 
 Si formano nel 2010 con un film e una lettera in mente, ovvero la 
            D di Jack Black in Tenacius D And The Pick Of Destiny, i The D debuttano 
            dal vivo nel 2011, nel 2012 pubblicano il primo singolo The Book of 
            Guinness, nel 2013 il primo EP Alf (distr. (R)esisto).
 “United States Of Mind” nasce grazie al crowdfunding ed 
            è formato da undici canzoni. I suoni comunque sono moderni 
            e rispecchiano il sound del Rock odierno, non siamo al cospetto certamente 
            di un gruppo clone privo di personalità. Infatti i The D graffiano 
            gli strumenti, ricercano melodie e buoni arrangiamenti, cercano di 
            fare propria l’essenza del genere con passione e spontaneità. 
            Questo già scaturisce all’ascolto dell’intro “Pluto”. 
            “USM” presenta il gruppo nella sua nudità, perché 
            loro sono così, si propongono per quello che sono, senza falsità 
            ruffiane o secondi fini, la musica ascoltata questo mi racconta. Certamente 
            le melodie spesso sono inflazionate, tuttavia le idee funzionano e 
            i pezzi restano scolpiti nella mente. Sicuramente si adattano perfettamente 
            alla sede live.
 “Felix, Theon & Mr. Fox” e “Checkmate” 
            si fanno apprezzare per semplicità ed elasticità strutturale 
            (chi ha nominato gli Oasis?).
 
 Ma il gioco diventa serio con “All Star”, dove il profumo 
            degli anni ’60 diventa più intenso, anche grazie a sventate 
            Led Zeppelin prima carriera. Giocosa e spensierata “6,16,26”, 
            ci riscontro all’interno anche influenze Punk. Con “Pete” 
            la scena diventa più ampia, quasi Surf Rock, gradevole e ballabile. 
            Più ruvida “The Genius”, Rock sanguigno al punto 
            giusto, come una buona tagliata (e dai ancora con gli Oasis…chi 
            l’ha nominati?). “Black Ants Invasion” gode della 
            mia simpatia, perché contagiosa nella sua semplicità, 
            pur non essendo un momento particolarmente importante. Il brano lento, 
            spesso caro alle band Rock, qui è rappresentato da “3 
            Pounds”, non melenso, tuttavia morbido e garbato. Chiude l’album 
            la massiccia e cadenzata “Glenn Matthew”.
 
 Sicuramente i The D sono un gruppo da seguire soprattutto dal vivo, 
            in quanto la musica proposta è proprio contagiosa e priva di 
            inutili orpelli, elettrica e spassosa. Da sentire ad alto volume anche 
            in macchina… perché no? MS
 
 Altre recensioni: Alf
 
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