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            terzo capitolo della saga dei progster Ten Midnight arriva ad un paio 
            d’anni di distanza dalla loro ultima fatica, un disco molto 
            ambizioso su cui la band deve aver investito parecchie energie a livello 
            compositivo e si sente, molto più prog e un po’ meno 
            heavy rock dei due precedenti lavori, il sound si è fatto più 
            pomposo e solenne, memore della lezione degli ELP e di Wakeman. Ma 
            gli ingredienti principali del loro sound sono sostanzialmente gli 
            stessi, musica suonata con grande passione e voglia di lasciare un 
            segno profondo in chi ascolta. L’unica cosa che manca è 
            l’automobile variopinta, che era presente sulle prime due cover, 
            che forse non era propriamente prog, ma che in fondo era diventata 
            un po’ un simbolo di questa band.
 Il disco è un concept basato su un affascinante romanzo fantasy, 
            La Città dell’Estate, scritto da J. Crowley ed edito 
            dalla Mondadori. L’album prende vita con “Waking Up”, 
            poco più di un intro elettronico, atmosferico e molto “cosmico”, 
            che lentamente ci introduce al primo vero brano, che è la suite 
            “Early Memory”, aperta da un flauto sognante, molto vintage 
            se volete, ma anche pieno di fascino, poi entra un cantato a più 
            voci, ancora echi di Kansas e di certe cose dei Gentle Giant e anche 
            qualcosa dei Jethro Tull, ma non tanto per l’uso flauto, ma 
            per certi intrecci hardeggianti con altri sinfonici, per finire direi 
            che c’è qualcosa anche del Banco, in tutto questo rimando 
            a citazioni illustri i Ten Midnight ci mettono tanta passione e impegno,dando 
            vita ad un mix molto godibile, che si rivolge ad un pubblico specifico, 
            ma che non lo lascia certo deluso. Buona l’integrazione dei 
            testi in italiano con le musiche, da sempre punto debole dei gruppi 
            prog italici, ma che i Ten Midnight hanno risolto piuttosto bene. 
            Bella nervosa è la partenza di “Running in the Wind”, 
            con un bel contributo delle tastiere, fanno capolino i già 
            citati ELP. “Over the Horizon” ha una struttura ritmica 
            più ardita dei brani precedenti, meno immediata, ma più 
            ricca, con belle parti strumentali. Le armonie vocali sono sempre 
            stati il punto forte di questo gruppo, così non sorprendono 
            le magie di “Life Valley”, uno splendido momento sinfonico 
            che torna a omaggiare i Kansas. Qualche tocco moderno apre l’oscura 
            “The Bread Tree”, quasi hard rock. A discapito dei titoli 
            quasi tutti i brani sono cantati in italiano, ma la title track quasi 
            a sorpresa è in inglese e il gruppo non perde la propria identità, 
            molto bello il solo di chitarra finale. “Syntax Error” 
            è una breve parentesi elettronica, che precede il brano più 
            heavy del disco, l’incisiva e strumentale “Cats”, 
            quasi purpleiana. Molto bella “Memories”, uno dei momenti 
            più riusciti del disco, dove il gruppo riesce a convogliare 
            in modo praticamente perfetto tutte le proprie qualità. “Revelation” 
            è una ballata dominata da un pianoforte, molto poetica, chiude 
            infine “Rewind”, un outro elettronico molto onirico.
 
 Gran bel ritorno questo dei Ten Midnight, una band che ha trovato 
            una propria dimensione e che la sta portando avanti con la giusta 
            convinzione, certo sono sempre piuttosto “vintage” se 
            volete e magari anche un po’ “regressive”, ci sta 
            anche questo, ma non dovete prendere queste affermazioni come un punto 
            di demerito, perché quando un disco è fatto con la passione 
            che ci hanno messo questi musicisti è sempre un gran piacere 
            ascoltarlo. GB
 
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