uRock Impressions

Psychopathic Romantics - Pretty Prizes PSYCHOPATHIC ROMANTICS - Pretty Prizes
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Post Rock
Support: CD
- 2010

I casertani Psychopathic Romantics hanno da poco realizzato questo secondo album autoprodotto, non conoscendo il primo non posso fare confronti e raccontarvi di eventuali progressi, ma questo disco mi ha davvero colpito. Questi quattro musicisti hanno dato vita ad un sound post rock veramente ricco e personale e riescono a coniugare le influenze più disparate, a dire il vero mi sembra quasi strano che un disco così non abbia trovato una label che lo volesse produrre, potrebbe essere stata una precisa scelta del gruppo, una scelta di libertà che si adatta ai tempi attuali, dando la possibilità alla band di distribuire la loro musica attraverso tutti i canali che le moderne tecnologie mettono a disposizione, ma sono convinto che l’appoggio di una vera label potrebbe dare quel tocco di “ufficialità” che non guasta mai. Anche perché, ripeto, questo disco merita davvero attenzione.

La creatività di questi musicisti emerge fin dall’artwork originale, essenziale e penetrante, sul retro i titoli dei brani sono inseriti in un testo, idea molto carina. Si parte subito con dei toni semi acustici e molto psichedelici del brano iniziale, che sembra uscito dal repertorio dei Velvet Underground, caustico ed abrasivo, pur essendo semi acustico. “Democracy’s Pill” è molto più malinconica e folle, con un folk rock che verso metà brano deflagra in un rock durissimo, carico di suggestioni hardcore punk. “Transparent Smiles” prosegue aggiungendo delle tinte prog alla Anglagard e Landberk, che mostrano una band capace e preparata, che riesce a passare attraverso vari generi musicali senza perdere mai di vista l’obiettivo finale del brano. “Free Barabbas” è il punto più alto del disco, un brano teatrale, che parte violentissimo, per poi calmarsi e diventare onirico, poi ancora assume i connotati di una ballata elettrica, ma cambia continuamente fra deviazioni psichedeliche e rock d’autore e un’attitudine drammatica sorprendente, che arriva a coniugare il folk natalizio delle zampogne con un rock claustrofobico e tribale, ma non è un brano dissacrante, piuttosto sembra voler denunciare le incongruenze di un’umanità che dopo duemila anni sarebbe ancora pronta a crocefiggere nuovamente un novello Cristo, piece davvero spettacolare. “Silent Venom” assume i toni di una ballata stralunata, che a questo punto ci sta bene. La prima parte di “F.” è molto delicata, dal testo poetico, l’unico cantato in italiano, poi il brano diventa più elettrico. “Mother Nature’s Latest Madness” mostra il lato più folle di questi musicisti. Bella anche la strumentale “21”. Chiude con dolcezza la folkeggiante “I Came Here”, buon suggello per un disco capace di sorprendere.

Ci sarebbe molto da riflettere sul fatto che un gruppo così nel nostro paese sia costretto ai margini dell’autoproduzione, ma sono convinto che questi artisti abbiamo dalla loro la forza necessaria per portare avanti un progetto che non deve passare inosservato. GB

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