| Tornano 
            i norvegesi Lucifer Was e la mia curiosità è alta, perché 
            questa band ha sempre saputo coinvolgermi col suo sound pieno di riferimenti 
            settantiani, come vi abbiamo già raccontato si tratta di una 
            band nata negli anni ’70, ma che oggi sta vivendo una seconda 
            giovinezza, non a caso questo è solo il quinto album del gruppo. 
            The Crown of Creation è una rock opera, quindi un disco più 
            audace dei precedenti.
 Tralasciando i preamboli attacchiamo subito con la musica, come dicevamo 
            questo nuovo lavoro dei LW si discosta dai dischi precedenti, ma ci 
            sono anche altri elementi di discontinuità, meno hard rock 
            e molto più progressive sinfonico, non a caso agli ingredienti 
            che già conosciamo, un dark sound memore della lezione dei 
            Jethro Tull, per l’uso del flauto, e dei Black Sabbath, per 
            certi riffs ossianici di chitarra, con tutto quello che ci stà 
            in mezzo in campo hard rock, oggi troviamo l’aggiunta della 
            Kristiansand Symphony Orchestra, composta per la verità solo 
            da due elementi, il violinista Jan Stigmer e la flautista Michala 
            Petri.
 
 Il disco, anche se diviso in quindici traccie, si presenta come un’unica 
            grande suite, con tutti i brani legati tra loro, senza soluzione di 
            continuità. Ci sono ancora momenti di grande energia, ma su 
            tutto domina un profondo lirismo molto poetico, col violino che si 
            presenta come vero dominatore, contorniato abilmente dai flauti e 
            dalle tastiere, che si dividono fra mellotron e hammond, due strumenti 
            molto cari agli appasionati del genere. Difficile citare dei titoli 
            presi singolarmente, il disco è tutto bello, dall’inizio 
            alla fine, chi ama le atmosfere più dure troverà grande 
            energia in momenti come “Rising Sun”, mentre quelli più 
            sinfonici e progressivi sono da cercare in brani come “Unformed 
            and Void” o “Beggar’s Bowl”, ma ripeto che 
            non ho trovato un momento brutto o trascurabile in questo disco.
 
 Grande ritorno sulle scene quindi, con un disco fatto con grande impegno 
            compositivi e che sono sicuro non lascerà deluso nessuno degli 
            appasionati dell’hard rock progressivo a tinte dark. Per me 
            questo titolo è già un must. GB
 
 Altre recensioni: In Anadi's Bower; 
            The Divine Tree
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