Ci sono artisti che per scelta restano underground per tutta la loro
carriera, forse la cosa non è sempre cosciente e “decisa
a tavolino”, ma quando si fanno delle scelte controcorrente,
anticommerciali e artisticamente libere è inevitabile rivolgersi
ad una cerchia ristretta di appassionati di musica, questo è
un indice di qualità e di serietà che ritroviamo in
poche bands, difficilmente in quelle che spiccano nelle classifiche
di vendita. Questa formazione ha una lunga carriera alle spalle iniziata
nei primi anni ottanta col moniker Not Moving, divenuto poi Lilith
negli anni ’90 e oggi allargato all’attuale Lilith and
the Sinnersaints. Nel presente cd abbiamo il contributo di artisti
del calibro di Tav Falco, Santo Niente, Julie’s Haircut, Dome
La Muerte (Not Moving), Maurizio Curadi (ex Birdmen of Alkatraz) e
altri ancora.
Il sound espresso in questo progetto è molto complesso, si
tratta di un ardito mix di vari generi musicali dal folk al punk,
con spruzzate di jazz e di blues, in un certo senso mi ricordano una
versione folk di Nick Cave, dei moderni cantastorie, ancorati al passato,
ma tesi verso il futuro per le sonorità decisamente rock di
molti brani. In effetti questo album è un concept piuttosto
ambizioso, l’intro iniziale “The Black Saint” si
rifà volutamente a Charlie Mingus, ma è solo l’inizio
di una serie impressionante di riferimenti che nel loro insieme si
fanno profonda cultura e dedizione. Tra covers e brani composti apposta
per l’occasione abbiamo la possibilità fare un viaggio
nella cultura rock più ambiziosa. Impossibile fare un track
by track, perché toglierebbe l’emozione che genera l’ascolto
dell’album nella sua interezza, che è come uno spettacolo
teatrale sorretto da musiche senza tempo e cariche di struggente nostalgia.
Quasi come in certe scene felliniane, che sono entrate nella memoria
collettiva (mi si perdoni il paragone ardito), queste canzoni sono
tappe di un percorso artistico irreprensibile.
Per la cronaca il disco esce anche in versione limitata con bonus
cd contenente la ristampa del singolo (andato esaurito) “I Need
Somebody”, uscito nella primavera del 2007. Ci vorrebbero più
album come questo e più gente disposta a dedicare un po’
più di tempo ad ascolti che possono davvero arriccchire, magari
non sempre facili, ma di sicuro molto appaganti sulla lunga distanza.
Mi piacerebbe definire questo album come “Slow Rock”,
prendendo spunto dalla nota associazione che tutela le prelibatezze
nate dall’operosa e prolifica arte del fare cibo, ma non ho
la pretesa di creare una nuova etichetta, piuttosto ecco un album
sperimentale e gradevole al tempo stesso, che fa cultura senza mettersi
in cattedra. GB
Altre recensioni: Revoluce
Libri di Antonio Bacciocchi: L'Uomo
Cangiante
Sito
Web
|