| Robin George fra i tanti progetti che ha messo in piedi c’è 
            anche questo condiviso con Nick Tart (Diamond Head) a metà 
            degli anni ’90, il disco per inciso è stato registrato 
            nel ’95, ma è stato pubblicato nel ’97 su una piccola 
            label, oggi grazie alla volonterosa Angel Air ecco la ristampa su 
            cd con l’aggiunta di alcune bonus. Curiosa la genesi di questo 
            progetto, le note del booklet raccontano di come nel 1980 Robin avesse 
            messo in piedi una band con Pino Palladino (the Who) al basso, Mark 
            Stanway (Magnum) alle tastiere e nientemeno che Pete Wright e Dave 
            Holland (Trapeze), un supergruppo che credo diede vita solo ad un 
            singolo, ma la storia merita di essere ricordata. Probabilmente il 
            periodo non era favorevole al progetto di George e Nick, che è 
            rimasto dimenticato molto a lungo, ma oggi finalmente possiamo recuperarlo 
            senza troppe remore.
 
 Robin ha una sensibilità molto orientata all’hard melodico, 
            lo ha dimostrato praticamente in ogni sua produzione e questo disco 
            non fa eccezione, solo che il taglio è più duro rispetto 
            ad altri titoli, lo si avverte fina dall’iniziale “Dangerous 
            Music”, un titolo che in qualche modo tornerà anche in 
            sue produzioni successive, la grinta di George emerge in un riff tagliente 
            e ricco di inventiva. Stesso discorso per “The Language of Love”, 
            fra ritmiche incalzanti e stacchi pieni di soluzioni melodiche contagiose, 
            ne esce un brano davvero riuscito. Gli inglesi in particolare e gli 
            europei in generale hanno un approccio molto personale all’hard 
            melodico, che di solito è un genere associato quasi esclusivamente 
            agli artisti USA e Canada, e ne escono dei lavori molto spesso originali 
            e personali, come questo che presenta sonorità inedite, in 
            un genere dove tutto sembra sempre molto prevedibile. Così 
            come in “The American Way” o nella title track, brani 
            tutt’altro che convenzionali, ma il concetto è ancora 
            più chiaro nella scanzonata “Freeride”, un brano 
            arioso, che brilla per soluzioni e inventiva. Dei quindici brani presenti 
            in questo cd non ce n’è uno brutto, o sotto la media, 
            un disco ben fatto, che non ha raccolto per il suo valore.
 
 Negli anni Robin George è sempre andato avanti per la sua strada 
            senza mai arrendersi, non credo che il suo nome sia molto conosciuto 
            fuori dai patri confini e non sarebbe davvero male se la sua musica 
            girasse un po’ di più. GB
 
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            George and Vix
 
 
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