| Ecco una coppia che potrebbe passare inosservata, ma che nasconde 
            due veri talenti: il singer Doogie White ha fatto parte degli ultimi 
            Rainbow, ha cantato con Malmsteen, coi Cornerstone e in molti altri 
            progetti, ha una voce che ricorda quella di Glenn Hughes, anche se 
            non è ancora così carismatica; Bill Liesegang è 
            un gregario di lusso, dagli anni ’80 in poi ha partecipato ad 
            un numero imprecisato di dischi, fra cui quelli di Nina Hagen, Lene 
            Lovich e Bob Gedolf, ma per venire in territori più consoni 
            al rock voglio ricordare le collaborazioni con John Wetton, Zodiac 
            Mindwarp e Paul DiAnno.
 
 Due personaggi davvero interessanti e così anche il loro disco 
            non poteva non riflettere carisma. Non ci troviamo di fronte ad un 
            album sconvolgente, ma a un disco di hard rock molto ben fatto, suonato 
            in modo impeccabile, con un songwriting tutt’altro che scontato 
            o banale, caratteristiche certo non comuni.
 
 Undici brani con due strumentali, il primo dedicato a Vivaldi e il 
            secondo molto ispirato dedicato al padre scomparso di Liesegang. Bill 
            è un chitarrista irruento, per anni ha messo il suo talento 
            al servizio di altri artisti, a volte non propriamente “duri”, 
            e in questo progetto da sfogo a tutta la sua carica vitale creando 
            il substrato perfetto per la voce intensa e piena di sfumature di 
            Doogie che è un singer da tenere in considerazione perché 
            è uno dei più quotati eredi della vecchia guardia.
 
 Si parte con l’asprezza di “A Prayer for the Dying”, 
            una anthem song che unisce il gusto pomp ad un granitico incedere 
            in doppia cassa. Ma il secondo episodio ci cala in fumose atmosfere 
            blues, un bel arpeggio lancia una traccia che non sfigurerebbe nel 
            repertorio dei grandi Badlands. Con “Last Temptation” 
            si svolta verso un sound cupo e cadenzato figlio dei Black Sabbath. 
            “World Collide” cambia ancora, si tratta di una ballad 
            intimista con un buon lavoro di chitarra.
 
 Senza volervi svelare il resto del disco voglio concludere dicendo 
            che “Visual Surveillance of Extremities” è un bel 
            disco di hard rock, duro e passionale, ma soprattutto originale. GB
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