| INTERVISTA 
            CON TONY LEVIN dei LEVIN MINNEMANN RUDESS (versione 
            inglese)di Giancarlo Bolther e Laura Medei
 
 Un album superbo. Si ha l’impressione che vi siate divertiti 
            parecchio nel farlo. Com’è nata questa collaborazione 
            e quali obiettivi vi siete posti?
 È una bella sfida metter su una squadra con musicisti che stimi 
            e vedere poi che cosa ne esce. A volte il risultato non è buono 
            quanto ti saresti aspettato, a volte è anche meglio. In questo 
            caso le composizioni sono venute fuori proprio bene. Mi piace molto 
            come sono venute.
 
 Qual è la differenza tra questo progetto e l’esperienza 
            che hai fatto in precedenza con i Liquid Tension Experiment?
 Per quanto mi riguarda, ogni album è differente, come è 
            differente ogni progetto, ogni tour. È davvero difficile fare 
            paragoni. Ma voglio fare un tentativo. La differenza più grande 
            è che abbiamo scritto stando ognuno nel proprio studio, poi 
            abbiamo condiviso il materiale con gli altri. Liquid Tension Experiment 
            è stato scritto tutto a più mani e rapidamente, quindi 
            non c’è stato tempo per correggere il materiale. Non 
            sto dicendo che sia peggio. È solo differente. Per cui l’unica 
            cosa diversa è stata la scrittura. E siccome nel gruppo non 
            c’erano chitarristi, a Jordan è stato dato un ruolo di 
            peso maggiore in questo progetto.
 
 Il livello tecnico dell’album è molto alto, ma 
            si avverte anche una grande sintonia tra voi. Secondo te quanto è 
            importante l’abilità tecnica nell’eseguire la musica 
            a paragone della ricerca di una buona composizione melodica?
 Questa è una bella domanda. Io considero molto la tecnica, 
            ma non così tanto il suonare veloce. Piuttosto il tocco, il 
            fraseggio, ossia le cose che ti fanno risultare diverso da altri musicisti. 
            Le tecniche possibili sono tante, e un musicista come me - io sto 
            ancora facendo pratica - può provare a migliorare in ognuna 
            di queste. Per me la tecnica è lo strumento che stai usando. 
            Alla fine non è importante quanto la cosa che chiami “sintonia 
            tra noi”, che poi sarebbe la qualità della musica.
 
 Nel fare l’album avete lavorato insieme o ognuno per 
            conto proprio?
 Ognuno a casa propria, salvo qualche jam session che Giordan e io 
            abbiamo fatto assieme nel suo studio (puoi vederle nella versione 
            DVD dell’album).
 
 Pensate di eseguire il lavoro dal vivo oppure è destinato a 
            rimanere un progetto da studio?
 Probabilmente dopo che avremo fatto un secondo album potremo pensare 
            a un tour.
 
 Oggi le collaborazioni tra musicisti nel rock stanno aumentando, 
            ma nel jazz rappresentano la normalità da molto tempo. Perché 
            secondo te non vale lo stesso nel rock?
 Non lo so. In realtà io ho partecipato a un sacco di collaborazioni 
            nel rock, negli anni passati. Mi sembra che sia una cosa abbastanza 
            comune.
 
 A proposito degli album in cui hai suonato, potresti dirci 
            i cinque che preferisci e perché li sceglieresti?
 Non ci sono dischi o musicisti che preferisco. Mi piace un sacco di 
            musica differente, e se questo è un bene in valore assoluto, 
            è speciale per me, sia che ci abbia suonato oppure no. L’esposizione 
            alla musica ti fa crescere come musicista. È raro che ripensi 
            ai miei vecchi album, e comunque non li ascolto. Non che mi dispiacerebbe, 
            ma di solito mi concentro sulla musica nuova, e questo per me conta 
            di più.
 
 Durante la tua carriera hai fatto molta musica sperimentale. 
            Credi che la sperimentazione si ancora possibile oggi? E secondo te 
            quali sono gli artisti o le band che ne sarebbero capaci?
 Ascolto sempre le band che musicalmente rompono gli schemi, vecchie 
            o nuove che siano, così posso ispirarmi nel creare la mia musica. 
            Per me è questo che il “progressive” dovrebbe essere. 
            Certo non è sempre facile spingersi oltre il confine di quello 
            che si è già fatto. In questo senso ascoltare le altre 
            band è un grosso aiuto.
 
 Tu hai un’esperienza di molti anni. Quando hai capito 
            per la prima volta che nella tua carriera di musicista stava accadendo 
            qualcosa di molto importante? E qual è stata la tua più 
            grande soddisfazione?
 Come tanti musicisti faccio un po’ fatica ad avere una visione 
            di insieme della mia carriera. Piuttosto che capire che stavo facendo 
            qualcosa di importante, tutto quello che ho fatto è stato ascoltare 
            la musica in cui ero coinvolto e cercare di fare le parti di basso 
            meglio che potevo!
 
 Hai suonato con molti artisti di molti paesi diversi, toccando 
            vari generi musicali. Dal jazz al progressive, dal pop alla fusion. 
            Quale collaborazione ha contato di più per te sotto un profilo 
            professionale?
 Mi è piaciuta tutta la musica che ho fatto... Ok, tutta la 
            BUONA musica. E molta di questa era davvero buona.
 
 Oltre ai progetti in cui sei impegnato, sei da poco rientrato 
            nella formazione dei King Crimson. Potresti dirci in poche parole 
            come è la band oggi rispetto alle tue esperienze passate?
 Ancora non abbiamo iniziato a provare coi King Crimson, non ho idea 
            di come sarà. Di fatto nessuno lo sa ancora. So che ci saranno 
            tre batteristi, per cui dovrebbe essere interessante vedere che cosa 
            succede. Comunque, come è sempre stato con quel gruppo, sono 
            certo che sarà una grossa sfida per tutti noi.
 
 Durante i due decenni passati hai lavorato con diversi artisti 
            italiani. Hai qualche aneddoto da raccontare su quelle collaborazioni?
 Nessun aneddoto, ma mi piace la sensibilità musicale degli 
            italiani (forse perché sono sempre stato un fan dell’opera 
            lirica). Mi ritengo fortunato ad aver avuto la possibilità 
            di lavorare con artisti così.
 
 C’è qualche musicista con cui vorresti lavorare 
            o un genere musicale che pensi di esplorare nel prossimo futuro?
 I prossimi anni avrò da fare dei tour, tutti con musicisti 
            che già conosco (King Crimson, Peter Gabriel, Stick Men, The 
            Crimson ProjeKCt). Nel futuro spero di suonare con altri musicisti, 
            ma è probabile che non succederà prima di aver chiuso 
            con i concerti già in programma.
 
 Questa è l’ultima domanda. Se vuoi, puoi terminare 
            l’intervista dicendo qualcosa che ti sta a cuore. Un messaggio 
            al pubblico italiano, ad esempio. Sei libero di dire quello che vuoi.
 Mi piace venire in Italia, suonare concerti là. È un 
            gran pubblico quello italiano, c’è una grande sensibilità 
            verso il rock progressive, e... beh, come una buona parte del mondo, 
            concordo nel dire che l’Italia è un gran posto dove stare.
 
 Recensioni: Levin Minnemann Rudess
 
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