| La Norvegia sta cominciando a sfornare una buona serie di band interessanti 
            e questi Leprous, giunti al quinto full lenght in studio, stanno facendo 
            parlare molto di sé. Confesso di ascoltarli per la prima volta, 
            quindi non conosco i loro lavori precedenti, di cui però ho 
            letto buone cose. In particolare di Bilateral, che al momento sembrerebbe 
            essere il loro album più riuscito. La formazione è in 
            attività da oltre dieci anni e nel tempo ha subito diverse 
            defezioni. Il cantante e tastierista Einar Solberg e il chitarrista 
            Tor Oddmund Suhrke sono gli elementi di continuità, la seconda 
            chitarra è nelle mani di Øystein Landsverk da dieci 
            anni, mentre la sezione ritmica è in continua evoluzione.
 
 Il primo brano è “The Price”, di cui è stato 
            realizzato anche un video ufficiale. L’avvio è solenne, 
            epico, con un continuo stop and go, un andamento sincopato su cui 
            si stendono le linee melodico armoniche e un cantato sognante e suggestivo. 
            Il refrain è molto potente e coinvolge emotivamente, poi riprende 
            l’andamento sincopato di apertura, un incedere dark apocalittico 
            che pervade anche tutto il resto del disco. Anche “Third Law” 
            ha un apertura potente, si ripete il gioco a singhiozzo di stacchi, 
            che sembra a questo punto la caratteristica prima della band. Se fosse 
            per la struttura armonica del pezzo mi piacerebbe molto, ma alla lunga 
            l’insistenza esasperata al ricorso agli stacchi inizia ad avere 
            un effetto irritante. “Rewind” ha una tensione drammatica 
            notevole, è uno dei brani che mi sono piaciuti di più. 
            “The Flood” apre con una pulsazione e un cantato ricco 
            di pathos, inizialmente mi cattura, ma quando poi riprende ancora 
            un'altra partitura che insiste ossessivamente su una pulsazione torna 
            il senso di pesantezza avvertito nei primi due brani. “Triumphant” 
            ripropone un incedere epico e drammatico a base di stacchi e note 
            scandite con autorità. La teatralità del gruppo è 
            fuori discussione, però questo loro modo di impostare i brani 
            deve piacere per poter essere digerito. Mi ripeto, alcuni passaggi 
            mi piacciono molto, ma nel complesso provo un profondo senso di disagio 
            man mano che il brano prosegue. Non aiuta l’ascolto di “Within 
            My Fence”, che affonda ancora di più in un andamento 
            sincopato portato all’estremo. “Red” è l’ennesima 
            riproposizione di questo stile incalzante, cambia la scelta dei suoni, 
            ma non il martellamento dei nervi. Ancora una volta mi piace la melodia 
            di fondo, ma non come viene eseguita. “Slave” a tratti 
            è commovente, ci sono dei passaggi da brividi, tuttavia non 
            bastano un paio di brani molto belli a salvare il bilancio di un disco. 
            Anche la successiva “Moon” presenta alcuni momenti lirici, 
            pur non essendo un brano epocale. Con "Dawn" si ripresenta 
            in tutta la sua crudezza l’andamento sincopato martellante. 
            Anche in questo caso mi piace il refrain, ma quello che lo precede 
            rovina il bello. L’ultimo brano “Lower” mi lascia 
            del tutto indifferente.
 
 Non si può negare che i Leprous abbiano voluto sperimentare 
            strade nuove, ma non è detto che questo sia per forza di cose 
            un pregio. Sono una band che ha carattere e anche un discreto gusto, 
            però per quanto mi riguarda, devono percorrere una via più 
            fruibile per arrivare davvero a lasciare un segno. GB
 
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