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            dischi della Moonjune spesso non sono dischi facili e questo non lo 
            è di certo, per i meno esperti di prog il flautista e saxofonista 
            (oltre che appassionato anche di percussioni) Geoff Leigh è 
            stato un componente degli Henry Cow, fra i massimi esponenti del free 
            jazz applicato alla scuola di Canterbury, in seguito Geoff ha fatto 
            parte anche di altri nomi molto importanti della scena più 
            sperimentale ed innovativa della musica inglese ed oggi la sua attività 
            è ancora nel segno della ricerca e della sperimentazione. La 
            pianista e cantante giapponese Yumi Hara ha suonato con gente del 
            calibro di Hugh Hopper (Soft Machine) e David Cross (King Crimson). 
            Quando due personalità così si incontrano c’è 
            poco da star tranquilli.
 Upstream è un disco visionario, in cui i due virtuosi si liberano 
            per dar vita a musiche emozionali ed ultraterrene. La title track 
            è molto poetica, col flauto in bella evidenza, anche la seconda 
            “The Mountain Laughs” è simile, ma le tastiere 
            sono inquietanti e solenni, che contrastano con la libertà 
            quasi giocosa del flauto, il risultato è alquanto suggestivo. 
            Musica totalmente imprvvisata, che nel jazzismo di “The Strait” 
            esprime tutta la sua libertà, Hara suona in modo davvero impressionante, 
            che contrasti col sax di Leigh, anche se occorre un orecchio un po’ 
            allenato per seguire le loro evoluzioni. “Stone of the Beach” 
            si rifà alla tradizione musicale nipponica, quasi incomprensibile 
            per l’orecchio occidentale, suoni lenti, meditati, essenziali, 
            un oriente che resta coperto dal mistero e proprio per questo affascina 
            e inquieta. Interessante “A Short Night”, che contiene 
            dei momenti di improvvisazione veramente belli. La tradizione antica 
            del Sol Levante torna in “At the Temple Gate”, molto più 
            grave, con atmosfere quasi gotiche e spettrali. “Something About 
            the Sky” chiama in causa la tradizione tibetana, un brano intriso 
            di misticismo orientale, anche in questo caso servono delle chiavi 
            di lettura per assaporare fino in fondo la proposta di questi due 
            musicisti molto fuori dal comune. “Dolphin Chase” è 
            ai limiti del rumorismo, l’improvvisazione è totale, 
            per me questo è il brano più difficile del disco, con 
            la Hara che sembra Diamanda Galas e Geoff che martirizza il suo sax. 
            Chiude la parata la poetica “The Siren Returns”.
 
 Non c’è che dire, Upstream è un disco impegnativo, 
            anche se probabilmente i due artisti hanno dato libero sfogo alle 
            proprie energie senza troppi calcoli, quindi c’è da pensare 
            che per loro sia stato molto più facile suonarlo di quanto 
            lo sia per noi ascoltarlo, ma ovviamente anche noi abbiamo la nostra 
            parte di piacere. GB
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