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            sempre uno spettacolo quando ad un concerto è tutto esaurito. 
            I Jethro Tull sono abituati a fare il pieno nel nostro paese, dove 
            da sempre sono molto amati e seguiti, ma nella splendida cornice dei 
            giardini di Palazzo Te l’atmosfera è ancora più 
            magica del solito. Non è un caso quindi se l’inizio dell’esibizione 
            è stato ritardato per consentire l’ingresso agli ultimi 
            spettatori.
 L’organizzazione era particolarmente precisa e puntigliosa, 
            di fronte al palco c’era l’area dei posti a sedere, dove 
            bisognava rigorosamente stare seduti (per me è odioso essere 
            obbligato a stare seduto ad un concerto), mentre quelli in piedi dovevano 
            stare obbligatoriamente in una specie di recinto con la visuale in 
            parte nascosta dall’imponente mixer. Per fortuna c’erano 
            due maxi schermi per i più lontani, il guaio era che il regista 
            puntava quasi sempre nel posto sbagliato, del tipo che questo puntava 
            sul tastierista che faceva l’accompagnamento, mentre Barre faceva 
            un bell’assolo di chitarra. Il suono era abbastanza buono, dalla 
            mia posizione riuscivo a sentire tutti gli strumenti, ma il gruppo 
            sul palco ha avuto dei problemi tanto da richiedere più volte 
            l’intervento dei tecnici.
 
 A parte questi dettagli il gruppo sale sul palco verso le dieci e 
            da l’avvio ad una scaletta molto nostalgica e settantiana con 
            molti classici e anche qualche brano ripescato a sorpresa, Anderson 
            è sempre il solito istrione che intrattiene il pubblico con 
            la sua consumata ironia inglese e suona ancora il flauto in modo superbo, 
            mentre la sua voce, come è risaputo, ha perso da tempo il suo 
            smalto, ma conserva ancora un certo fascino. Certo i vocalizzi di 
            “Thick as a Brick” mancano un po’, ma può 
            andare bene anche così.
 La band suona molto bene e Barre è molto piacevole da ascoltare, 
            tra l’altro propone anche un brano dal suo recente album solista, 
            anche se devo dire che ha scelto uno di quelli che mi piacciono meno. 
            A sorpresa verso la fine della seconda parte dello spettacolo sale 
            sul palco una giovane flautista slava piena di grinta e di talento, 
            che sfoggia anche un buon italiano e incanta sia per la sua avvenenza 
            dal sapore gitano, che per la sua bravura che raggiunge il massimo 
            durante l’esecuzione a due con Ian del classico “Bourée”.
 
 Sul palco del Te ieri sera è salita un band dal grande passato 
            che ha fatto la sua bella figura, le pecche non sono mancate, ma del 
            resto non si può nemmeno pretendere di rivedere gli artisti 
            con la forma di vent’anni fa, ma quel che conta per me è 
            che in fondo io mi sono divertito. GB
 
 Recensioni: Living With The Past; Christmas 
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            Horses
 
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