Rock Impressions

Steve Hackett - Wild Orchids STEVE HACKETT - Wild Orchids
Insideout
Distribuzione italiana: Edel
Genere: Prog
Support: CD - 2006


La carriera solista di Hackett, che sembrava essersi appannata negli anni ’90, pare che oggi sia tornata in buona salute, ecco che lo ritroviamo infatti con un nuovo album a pochi anni dall’uscita di Dark Town, il disco che a mio parere lo ha rilanciato, e dopo il quale sono usciti altri due lavori.

In realtà Steve non ha mai smesso di sperimentare, questo è stato il motivo che lo ha spinto alla fine degli anni ’70 ad uscire dai Genesis, ed è tutt’oggi il motore che lo spinge a fare ancora così tanti dischi sempre all’insegna di soluzioni ricercate e mai banali.

L’apertura è affidata ad un pezzo scomodo dal titolo “A Dark Night in Toytown” che presenta un ritmo serrante e un’atmosfera urbana dal sapore cyberpunk. “Waters of the Wild” cambia le carte in tavola e gioca con atmosfere e suoni indiani vagamente psichedelici. Con “Set Your Compass” si fa un altro salto culturale per approdare al folk inglese, un rimescolamento di stili e tradizioni artistiche che creano un unico sentimento. Ma anche la zappiana “Down Street” fa la sua parte per confondere l’ascoltatore impreparato. “A Girl Called Linda” ricorda certe atmosfere pop degli anni sessanta. “To A Close” invece ricorda dei canti medievali con delle armonie molto delicate. “Ego and Id” propone delle atmosfere torride e acide e la chitarra di Hackett si fa aggressiva e sferza l’ascoltatore. “Man in the Long Black Coat” è una cover abbastanza riconoscibile di Dylan, col suo stile blues disperato e un tocco di folk irlandese. “Wolfwork” a mio parere è uno degli episodi migliori, perché mescola tentazioni neoclassiche con un prog sperimentale abbastanza intenso e teatrale. Invece “She Moves in Memories” è puramente neo classica forse un po’ troppo prevedibile. Un brano notturno e trascurabile precede la conclusiva e straniante “Howl” che lascia un punto interrogativo sull’intero lavoro.

Steve si è cimentato con la musica neo classica, col jazz, col blues, con alcuni accenni di world music, ma resta fondamentalmente un musicista prog nel vero senso del termine. Wild Orchids conferma questa sua natura proprio a causa degli stili diversi coi quali si è cimentato. Il rischio però è di confondere un po’ chi lo ascolta, perché tutto sommato all’album manca una certa unità compositiva, a tratti risulta troppo frammentario e slegato. Ci sono delle idee ottime prese da sole, nell’insieme si perdono un po’, per questo è un disco che va ascoltato molte volte prima che possa entrare nel cuore. GB

Altre recensioni: To Watch the Storms; Metamorpheus;
Out Of The Tunnel’s Mouth;
Genesis Revisited Live; The Tokyo Tapes;
Genesis Revisited: Live 2

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