Quando c’è un chitarrista di colore che suona rock blues
il giornalista di turno è sempre tentato di liquidarlo con
“il solito clone di Hendrix”, ma voglio solo ricordare
che Gales è stato sostenuto dalla famiglia del compianto Jimi,
questo perché è un artista a tutto tondo e non certo
una sterile copia, nonostante anche lui suoni mancino. Il suo primo
album solista esce nel ’91 e da allora è tornato regolarmente
a regalarci delle perle di rock blues.
Certo le similitudini fra i due sono molte, perché Eric suona
con una carica che sembra ereditata proprio dal più grande
axeman del secolo scorso: blues potente e sporco, che sa di sudore
e di energia pura, suonato con grande grinta che non lascia spazio
per respirare. Niente di innovativo si intende, ma è un disco
pieno di buone vibrazioni. Ora è più ruvido e ti graffia
come un gatto selvatico che non vuole essere toccato, ora ti accarezza
con un feeling che viene espresso con una disinvoltura sbalorditiva,
ma è sempre e solo grandissimo blues.
Il cd è composto da dodici brani che si susseguono con fluidità
e senza cedimenti, quasi incredibile per un genere che ha già
molti anni sulle spalle, ma che è ancora capace di emozionare
come pochi altri sanno fare. Da segnalare in particolare la title
track che è davvero carina e anche originale. Fin che ci saranno
artisti come Eric Gales il blues non morirà mai. GB
Altre recensioni: That's What I Am; Middle
of the Road
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