| Nuova band e nuova etichetta per un genere che conta già parecchi 
            anni sulle spalle, ma che non da cenni di cedimento, il doom. Questi 
            musicisti italiani vengono dalla toscana e propongono uno stile di 
            epic doom a tinte progressive piuttosto personale, la base di partenza 
            è costruita su una lunga tradizione di band, che vanno ovviamente 
            dai Black Sabbath, omaggiati nel finale del disco, agli italiani Paul 
            Chain e Dark Quarterer, passando per Saint Vitus, Pentagram, Manilla 
            Road e i gruppi della Black Widow.
 
 Il primo brano “Damnhail!” si apre su un giro di chitarra 
            molto sofferto, siamo in pieno doom, ancora le caratteristiche migliori 
            della band non sono evidenti, il cantato salmodiante del bassista 
            Carlo Castellani è particolare e insolito, il tutto suona abbastanza 
            convincente. La sucessiva “Night, Sentence, Silence” però 
            è una spanna sopra il brano precedente, il riff portante è 
            ripetuto in modo ossessivo e penetra con determinazione, mentre il 
            cantato presenta una linea melodica migliore, bello il finale con 
            un assolo di chitarra evocativo e dannatamente retrò, che lascia 
            il posto ad uno dei momenti più prog del disco, anche se è 
            giocato su un giro quasi rock ‘n’ roll, rivisitato in 
            chiave doom, con buoni intrecci di chitarra e basso. “The Idol 
            at the Top of the Mountain” ci riporta ad atmosfere sulfuree, 
            il cantato incomincia a suonare un po’ monotono, assomiglia 
            troppo a quanto proposto nei due brani precedenti. Anche “Skull 
            Full of Diamonds” ricalca sonorità già espresse, 
            I giri armonici sono costruiti in modo piuttosto simile, preso singolarmente 
            è un buon brano, ma nell’insieme non brilla. “Sacrifice 
            at Satan’s Cliff” si stacca proponendo un taglio più 
            metal, mentre il cantato ricorda certe cose di Paul Chain, verso il 
            finale il brano si trasforma il un sabba malsano, molto spettrale. 
            Chiude la cover di “Voodoo Child” di Hendrixiana memoria, 
            ma fatta con lo stile dei Focus Indulgens, che ne rispetta lo spirito, 
            ma che non teme di appropriarsi di un classico così simbolico, 
            in chiusura viene aggiunta qualche strofa di “War Pigs”, 
            ultimo omaggio e chiusura di questo interessante cd.
 
 Questi musicisti hanno dato vita ad un disco che mostra molte qualità, 
            ma anche qualche difetto, il songwriting deve diventare un po’ 
            più articolato, il cantato ha larghi spazi di miglioramento, 
            ma il gruppo ha delle buone idee e col prossimo lavoro possono sicuramente 
            fare un buon passo avanti. GB
 
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