Vi
abbiamo già introdotto il compianto David Byron nella precedente
recensione di Lost and Found ed ecco che l’attenta Angel Air
ci ripropone anche il primo album uscito con il nome di Byron Band
nel 1981, l’ugola dei mitici Uriah Heep in piena NWOBHM ha dato
alle stampe questo album in continua ricerca di una nuova dimensione,
nonostante il mantenimento di uno stretto legame col passato artistico,
che in questo disco emerge in modo prepotente.
Oggi la copertina di questo album fa un po’ sorridere, in particolare
se si pensa alle stupende e curatissime realizzazioni di questi anni,
ma all’inizio degli anni ’80 questo stile un po’
naif era abbastanza apprezzato e diffuso. Anche la musica risente
del periodo ed il taglio è più heavy, ma la radice hard
blues settantiana è ben presente, cosa che probabilmente non
ha permesso a Byron di emergere in un panorama che brulicava di giovani
talenti pieni di voglia di stupire il mondo a suon di metallici riff
pieni di energia.
A discapito del titolo, che fa pensare ad una ballad romantica, l’iniziale
“Rebecca” è un concentrato di heavy rock primordiale,
ottimo il riffing composto dalla coppia David Byron e Robin George,
mentre il cantato di Byron ci fa rimpiangere di non aver potuto apprezzare
maggiormente la sua voce. Si prosegue con un classico bluesettone,
“Bad Girl” ha un titolo quanto mai prevedibile, ma è
perfetto per lo stile sporco e graffiante del brano. Davvero bella
“How Do You Sleep?”, col suo senso di mistero e di dramma
davvero intenso e riuscito, sottolineato anche da azzeccati interventi
di sax e con un contributo vocale spettacolare, un brano che si eleva
sul resto del repertorio di una buna spanna. “Start Believing”
è un buon pezzo, molto Uriah Heep, ma dopo il piccolo capolavoro
precedente perde il confronto e viene penalizzato. “Never Say
Die” è troppo easy e stona col resto del repertorio,
la carta del pop, anche se d’autore, non paga. Il blues (abbondantemente
spruzzato di rhythm) torna con la trascinante “Piece of My Love”,
che con la sua sezione di fiati ricorda vagamente i Trapeze di Glenn
Hughes. Riempitiva è la seguente “King”, che cala
il tono dell’album e verso il finale non ci sta molto bene.
Non migliora le cose la fiacca “Little by Little”, quasi
soul, che dissipa tutta l’energia iniziale, non è una
brutta canzone, anzi, ma in questo disco non ci sta proprio, peccato.
Questa ristampa contiene tre bonus tracks incise da Byron poco prima
di lasciare per sempre i palcoscenici di questo mondo e sono traccie
ancora piene di voglia di fare musica. “Fool For a Pretty Face”
non è epocale, ma è un bell’hard blues, fatto
come si deve. Molto più coinvolgente è l’heavy
rock di “Safety in Numbers”, anche se la prestazione vocale
non emerge come dovrebbe. Da brividi la ballata elettrica “One
Minute More”, sostenuta anche da una prestazione vocale davvero
toccante, il modo migliore di salutare un cantante che si è
fatto amare. GB
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