Rock Impressions

Azure Agony - India AZURE AGONY - India
SG Records
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog Metal
Support: CD
- 2012

Non me ne vogliano gli amici Azure Agony, ma considero "India" il loro vero e proprio esordio. "Beyond belief", la prima testimonianza del marchio friulano apparso nel 2009, si è rivelato una ottima palestra ove fortificare muscoli e convinzione, ma è con le otto tracce che compongono il presente dischetto, pubblicato per i tipi di SG Records, che l'insieme friulano potrà finalmente proporre il proprio repertorio senza timore di venir confinato in un ambito troppo limitato, come quello delle band puramente strumentali; un peccato, considerato che i talenti all'interno del combo non mancano.

Innanzi tutto, ovvio che il nuovo entrato alla voce catalizzi inizialmente l'attenzione: Federico Ahrens è davvero un eccellente interprete del ruolo, pur essendo il suo approccio devoto nei confronti di La Brie, e fate attenzione, perchè può rivelarsi un punto di forza. Che poi, ascoltato per intiero il disco, si ceda alla tentazione di rispolverare la propria copia di "Images and words" o di "Awake", questo dipenderà dal tasso di nostalgia provocatovi da "Twin babel" (non potevano piazzare opener migliore) o da "Libra's fall", esempi di come ancor oggi, Anno Domini 2013, si possa proporre del metal progressivo risultando credibili e non pedissequi imitatori di un modello troppo ingombrante. Che Sgubin, Simeoni, Pala e Firman credano nel loro progetto, e che abbiano trovato in Ahrens un finalizzatore adeguato alle loro pulsioni artistiche, è evidente dall'ascolto di "Private fears" o di "Forever blind". Di conseguenza è aumentata la consapevolezza di poter affrontare a viso aperto la procella di un mercato discografico abulico, che però può ancora premiare i meritevoli, sopra tutto se questi sono in grado di porsi degli obiettivi precisi da conseguire passo dopo passo, con pazienza e spirito di sacrificio. Il gruppo ha inoltre apportato nuove sfumature ad una tavolozza già ricca di colori: l'ospite Anna Marcossi aggiunge parti di violoncello, Gabriele Pala si esibisce pure all'impegnativo stick Chapman, quello che Tony Levin ha portato agli onori delle cronache del rock, Marco Sgubin ha aggiunto la fisarmonica al suo repertorio di tastiere. Eppoi il tempo ha cementato la coesione, e gli Azure Agony possono anche permettersi un brano come la lunga title-track che, fra fughe virtuose e soluzioni armoniche assai interessanti, mette in risalto la solidità, ma pure la duttilità, della sezione ritmica, sulla quale poggia il gran lavoro della chitarra. Una sfida vinta, un ottimo ponte per il futuro, essendo questi gli episodi sui quali capitalizzare per ulteriori testimonianze che non potranno mancare. Non dubitate inoltre di frammenti quali "Hold my hand", rischiereste di banalizzare e di non percepire il gusto tutto particolare degli Azure Agony nell'imbastire trame non convenzionali, eppoi l'intervento dell'accordion offre una chiave di lettura inedita in un ambito molto conservatore (anche se si appella come "progressivo").

Se qualche perplessità può ovviamente emergere, sopra tutto se si ritiene che la scuola "dreamtheateriana" abbia già detto tutto, "India" rimane comunque un ottimo esempio di disco suonato coll'anima, curato e ben prodotto. AM


Ritornano dopo "Beyond Belief" del 2009 i friulani Azure Agony con non poche novità. La band capitanata dal tastierista Marco Sgubin, si avvale per questa nuova realizzazione dal titolo "India" di un cantante, Federico Ahrens e la distanza fra il Metal Prog dei Dream Theater e questo degli Azure Agony, si assottiglia sempre di più. L'impostazione vocale di Federico non è proprio uguale a quella di La Brie, ma l'approccio alla melodia si. Il suo bel lavoro al microfono va ad arricchire di più il sound della band, rendendo l'insieme più scorrevole e meno impegnativo.
La caratteristica peculiare della band resta sempre a cavallo fra melodia e tecnica, proprio come nel primo album strumentale, anche se la prima è più marcata. Otto i brani che compongono "India" e le sorprese non finiscono qui, questa volta si parla di suoni, l'innesto di violoncello, Chapman Stick e fisarmonica in alcuni frangenti, donano freschezza e duttilità all'ensemble sonoro.

"Twin Babel" miscela potenza con ariosità, brano prettamente incastonato negli stilemi del genere in causa. Buono il lavoro della ritmica di Carlo Simeone (batteria) e Marco Firman (basso), così fondamentale il supporto delle tastiere. I fendenti di chitarra sono assegnati alle mani di Gabriele Pala. Punto di riferimento "Awake" e dintorni del Teatro Dei Sogni.

"Private Fears" inizialmente gioca anche con la voce filtrata al microfono, per poi svilupparsi in un alternarsi di potenza e melodia intrigante. Invece si apre voce e piano la bella "Libra's Fall", per crescere e lanciarsi in un frangente strumentale davvero efficace, specie nella cavalcata con chitarra elettrica a ritmo di doppio pedale a dimostrazione che la band è completa e che quando vuole sa picchiare.
In "My Last Time On Earth" la musica diventa immagine attraverso i suoni eterei e sognanti, più vicino al mondo New Prog per poi essere contigua alla bellissima "India", canzone clou dell'album. Quasi undici minuti di suoni ed emozioni sempre con un piede nel mondo Dream. Ad un tratto diventa soprattutto musica per la mente e gli alti e bassi emotivi colpiscono l'ascoltatore inesorabilmente.
Bella ballata "Hold My Hand", quasi una filastrocca che spezza l'ascolto dell'intero cd, concedendo una piccola tregua, uno dei pezzi che più mi hanno colpito anche per l'intervento della fisarmonica, davvero ben congeniato.

"A Man That No Longer Is" a differenza della precedente, non concede tregua e riporta il discorso Metal Prog ai livelli che generalmente più gli competono. Chiude "Forever Blind" in maniera epica e decisa.

"India" è dunque la seconda prova dei ragazzi di Udine e mette in risalto tutta la loro passione per il genere, cercando di non strafare e di badare al sodo. Consiglio soltanto di scrollarsi un poco di dosso la pellicola Dream che rischia di farli restare e quindi di perdersi, nell'enorme calderone di proseliti. Ovviamente non del tutto, perché le radici non si strappano....mai! MS

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