Rock Impressions
 

INTERVISTA AGLI ARPIA
di Adriano Moschioni

Uno dei gruppi più longevi del panorama alternativo italiano, gli Arpia hanno da poco rilasciato l'ennesima testimonianza della loro innata capacità di coniugare intelligenza espressiva a schemi musicali non banali, riuscendo nel contempo a preservare una irrinunziabile vena melodica. Le loro stesse parole ci guideranno attraverso gli anni trascorsi fino al presente, e meglio ci aiuteranno a scoprire vieppiù le mille sfaccettature delle quali è ricco "Terramare".

La genesi del progetto Arpia risale al febbraio del 1984. Da allora, evento assai raro per quanto riguarda un gruppo italiano, sopra tutto appartenente alla così detta scena underground, non solo siete ancora attivi, ma pure la formazione non è mutata. E' evidente che fra di voi esiste una solida amicizia che travalica l'aspetto meramente artistico.
Sì. Il rapporto che ci lega e che ci ha fatto crescere musicalmente insieme è un rapporto di amicizia e di forte stima reciproca. In più forse uno dei segreti che spiega la longevità del nostro gruppo è non essersi mai fatti affascinare dall’idea del professionismo, anzi averla sempre scartata come incongrua al nostro progetto: la libertà creativa non poteva lasciare spazio a compromessi e questo ha sciolto ogni eventuale tensione che in ogni gruppo dalle forti ambizioni per il successo porta spesso a cambi di formazione e fibrillazioni di vario genere.

Ricordo ancora le entusiastiche recensioni che seguirono l'uscita di "Resurrezione e metamorfosi", e soprattutto le difficoltà, ed il derivante imbarazzo, nelle quali i critici di allora si imbatterono, non riuscendo a collocarvi in un contenitore definito.
Beh, questo è stato sempre il nostro punto di forza ma anche la nostra principale debolezza per quello che riguarda l’aspetto commerciale: infatti non essere ben definiti all’interno di un genere ha reso più difficile la possibilità di essere veicolati verso un più ampio pubblico.

Sia "de lusioni" che il citato demo vennero, talora frettolosamente, definiti ora progressive, ora epic, ora dark metal e ci fu chi scomodò Warlord e gruppi simili per ritrovar qualche timido punto di contatto con la vostra proposta. Evidenziando sempre e comunque l’appartenenza al filone metal. Lo consideravate un limite, o sentivate davvero di appartenere a questo settore della musica alternativa?
Il nostro rapporto con il metal è sempre stato evidente, sin dall’inizio; d’altronde non poteva sfuggire che Arpia non era e non poteva essere in nessun modo un gruppo metal. E non dico questo perché consideri il metal come un genere limitativo, ma semplicemente perché il nostro progetto non era un progetto legato ad un genere musicale preciso, ma si fondava, al contrario, sul rifiuto dei generi a partire dalla loro accettazione. Noi come formazione venivamo dal metal e dalla psichedelia con qualche aggancio con il progressive e quelle erano le basi di partenza da cui iniziare un percorso nostro.

Alla luce della successiva affermazione di Dream Theater e di Fates Warning (questi ultimi pur troppo solo di critica), anche se con tematiche espressive e compositive ben distinte dalle vostre, in un certo senso avete precorso l'avvento del metallo progressivo. A quali gruppi vi sentivate più legati, nei primi anni della vostra attività?
I gruppi che ascoltavamo di più erano i primi Maiden ("Iron Maiden" e "Killers" soprattutto) Pink Floyd, Van der Graaf Generator, Metallica (fino a "…and justice for all"). Ma fin dall’inizio della nostra attività abbiamo sempre avuto il bisogno di fare qualcosa di diverso da quello che sentivamo, quasi per un bisogno di dare corpo a una musica di cui avevamo bisogno ma che non esisteva ancora.

I quaranta minuti di "Resurrezione e metamorfosi" in un certo senso chiudono la prima fase della vostra carriera. Un sound scarnificato, ma nello stesso tempo minaccioso ed imponente, ed una perenne atmosfera oscura, soggiogante, espressa colla sola forza del trio per eccellenza, chitarra, basso e batteria, ed una voce solo apparentemente fredda, in realtà appassionata in quanto proprio parte compiuta della vicenda narrativa. Questo per il sottoscritto ha rappresentato quella cassetta...
Hai centrato perfettamente il cuore di "Resurrezione"; quando parli di sound scarnificato dici esattamente quello che per me è stato sempre un chiodo stilistico fondamentale. Quando devo arrangiare io tendo sempre a non aggiungere, ma semmai a togliere, proprio per una ossessione etica ed estetica. Nella musica si può sempre aggiungere, si può sempre trovare un’altra linea, si può sempre stupire con un nuovo intreccio; ma così facendo si va dritti verso un manierismo insopportabile ed una retorica del bello che trovo, in arte, immorale ed antiestetica. Immorale perché falsa e presuntuosa; antiestetica perché ridondante e tronfia. Immorale ed antiestetica perché profondamente non poetica.

Avremo mai modo di riascoltarla su ciddì? La risuonate, avete apportato delle varianti al tema alla luce della vostra successiva ulteriore maturazione artistica, che è la costante della vostra formazione?
E’ tanto che non la suoniamo tutta, ma a volte ne riproponiamo delle parti. Uno dei progetti futuri, però, è proprio quello di far uscire su CD "Resurrezione e Metamorfosi", e sarà un bel regalo che ci faremo (e ci farete, N.d.AM!).

"Bianco zero" e il 7" "Ragazzo rosso/Idolo e crine" segnano una svolta, evidente sia nella ricerca di un suono più pieno e ricco di sfumature, intervenendo ora le tastiere, sia per quanto riguarda l'altro caposaldo della vostra espressività: le liriche, ora maggiormente legate al quotidiano, alla realtà.
Sì, nel processo di approfondimento o, meglio, di allargamento dell’indagine poetica che ci siamo trovati a dover affrontare, il rapporto con la realtà si è aperto una breccia da un punto di vista sia filosofico che poetico. Voglio dire che se fino a "Resurrezione" l’io lirico e pensante era assoluto signore della scena, con "Bianco Zero" si è affacciata una nuova consapevolezza nel rispecchiamento e abbiamo avuto bisogno di scendere nel mondo per prendere corpo. In questo senso l’introduzione della tastiera rappresenta una esigenza di espansione simile in una dimensione più prettamente musicale.

1995: è l'anno di "Liberazione". Ora il progetto-Arpia pare maggiormente definito, i suoi contorni sono sempre più nitidi e riconoscibili. Apre "Ragazzo rosso", il ponte gettato dal più recente passato a congiungersi col presente, seguono brani epocali quali "Liberazione", "Piazzale Loreto", Bologna" e la controversa "Coprofagia". L'impianto sonoro è epico, drammatico, come i temi trattati lo esigono, e la prova viene ancora una volta brillantemente superata. Esprimere così nettamente il proprio legittimo punto di vista su una porzione così dolorosa della nostra Storia, ancora non definitivamente chiusa in troppi suoi capitoli, non deve essere stato facile. Subiste delle pressioni, dei tentativi di condizionamento, e quali sensazioni provavate mentre stavate componendo quelle canzoni, o magari mentre le riascoltavate, successivamente alla loro registrazione?
"Liberazione" è stato il frutto di una potente ispirazione del tutto congrua al percorso che ho illustrato precedentemente. Infatti se dovevamo prendere piede nella realtà qual’era il modo migliore se non quello di fare i conti con le radici di quella realtà e con il corollario della storia collettiva e politica in cui era inserita? Ricordo di quel periodo i pomeriggi passati alla Biblioteca Nazionale a consultare foto, riviste, giornali e libri sugli anni di piombo, sulle stragi, sulla guerra partigiana. Fu un bagno nel dramma di un paese di cui avevo bisogno, di cui, credo, tutti abbiamo bisogno per capire meglio chi siamo. Condizionamenti non ne ho ricevuti, pressioni nemmeno, ma le critiche sono arrivate dopo, soprattutto per motivi politici. Comunque è indubbio che l’uscita di "Liberazione" (il 25 aprile del 1995) aveva anche un elemento volitivo forte poiché cadeva con il cinquantenario della liberazione dal nazifascismo, oltre che venire dopo pochi mesi dalla vittoria elettorale delle destre dopo cinquanta anni di governi moderati e per la prima volta dalla fine della guerra.

E' l'inizio della collaborazione con la Pick Up/Lizard Records. Etichetta di ridottissime dimensioni, ma molto attenta alla componente intellettuale (senza che questo vada considerato come snobismo, tutt'altro!), e pure promotrice di iniziative analoghe. Quanto conta la comunione di intenti fra gruppo e label nella riuscita di un progetto sicuramente impegnativo come il vostro?
Lavorare con un’etichetta che crede in te è la cosa più bella che può capitare a chi fa musica. Non c’è mai qualcuno che sta lì a chiederti conto di vendite non soddisfacenti o, ancora peggio, a spingere per apportare qualche aggiustamento a quello che fai al fine di allargare il tuo pubblico.

Ricordo che "Liberazione", pur accolto positivamente dalla gran parte dei recensori, causò nel contempo un certo malumore in altri: ci fu chi accampò motivazioni politiche, accusandovi di appartenere a questo od a quel movimento, chi vi tacciò addirittura di essere apertamente schierati al fianco di una ben definita corrente ideologica.
Quel che era certo è che eravamo stati colpiti in modo molto forte dalla vittoria delle destre, o meglio di quelle destre, non tanto perché avessimo paura per la tenuta democratica del paese con il ritorno al potere degli eredi di movimenti tanto negativi per la storia nazionale, quanto perché la nuova destra populista era proprio la forza che con maggiore forza si costruiva attorno alla perdita di memoria storica, arrivando anche a teorizzarla. Con "Liberazione" quindi ci schieravamo contro quelle forze innanzitutto per motivi storici e civili prima che politici. Per il resto credo che molti abbiano equivocato il senso generale del lavoro forse anche per appartenenza ideologica anche se a volte hanno provato un certo imbarazzo nel rivolgerci le loro critiche: infatti non si capisce per quale motivo qualcuno possa criticare un’opera per i suoi contenuti ideologici quando l’opera, sempre, si fa giudicare secondo leggi estetiche.

Le diverse storie che compongono il corpus narrativo di "Liberazione" invece ci fanno rivivere eventi cupissimi, talvolta per molti scomodi, del nostro passato: vicende individuali di persone comuni, attraverso le quali offrite all'ascoltatore, ed al lettore attento dei vostri testi, la vostra personale visione della nostra Storia più vicina.
E questa era la chiave giusta per comprendere che, oltretutto, l’ideologia non c’entrava nulla con "Liberazione". Un’opera ideologica infatti espone un punto di vista astratto e assoluto, invece in "Liberazione" i punti di vista erano i più svariati e deideologizzati: dal contadino spaventato dai comunisti di "Liberazione", alla giovane dalle scarpe ingenue di "La ragazza Carla", alla famiglia di emigranti in "Bologna", alle persone incredule e smarrite di "Strage!".

Ancora un periodo di silenzio, ed eccoci a "TerraMare": uscite rarefatte negli anni, avendo voi superato i quattro lustri come Arpia, ma tutte attentamente compulsate e dotate di un intimo significato compiuto.
Sono dovuti passare undici anni dopo "Liberazione" e i motivi sono probabilmente tanti e non tutti chiari neanche a noi stessi. Sicuramente c’è stata una crisi creativa che è sfociata nella composizione di una gran varietà di brani che, comunque, hanno in comune tra loro una forte spersonalizzazione stilistica, quasi un cedimento agli stilemi più comuni e banalizzanti in forma provocatoria. Sì, abbiamo composto pezzi musicali a partire dai detriti della musica più convenzionale, con una forte matrice rock e testi che pescavano dalla tradizione poetica novecentesca con un utilizzo dell’ironia che a noi era artisticamente quasi sconosciuta: cover di canzoni mai scritte, un tributo a un gruppo che non è mai esistito. Alla fine ne siamo usciti aprendoci agli altri e rendendoci di nuovo disponibili ad ascoltare le voci che ci arrivavano dal passato e dal presente.

Una nuova fase, che vede per la prima volta dal 1982 l’apporto di due nuovi collaboratori, Paola Feraiorni alla voce e Tonino De Sisinno alle percussioni. Come e quando nacque l’esigenza di avvalervi di altri musicisti?
Proprio in occasione della crisi creativa cui accennavo e in relazione alla struttura compositiva dei brani che andavamo componendo in quel frangente. Poi iniziò la composizione di "Terramare" che aveva necessariamente bisogno di una voce femminile visto l’impianto dei contrasti da cui prendeva le mosse.

Quale è stato l’apporto Paola e Tonino in sede di concepimento, di stesura e sopra tutto di registrazione dei brani?
La sensibilità e la capacità interpretativa di Paola sono evidenti nel disco e danno a tutto il lavoro un arricchimento importante mentre Tonino è intervenuto soprattutto per sottolineare le linee ritmiche più primitive e tribali.

In cosa differiscono ed, al contrario, cosa accomuna “Liberazione” a “TerraMare”?
La differenza maggiore è da rintracciare innanzi tutto nei temi: il primo storico-civile, il secondo erotico-sentimentale. La vicinanza invece è da ricondurre allo stesso impianto discorsivo che le prepara, con un’attenzione al reale dapprima come ricostruzione della memoria, poi come riconoscimento della sfera emozionale.

Vi chiedo ora un breve commento ad alcuni dei titoli dell’ultima vostra fatica discografica: ovvero, l’autore che vi ha ispirati ed il successivo sviluppo del pezzo. Iniziamo questa estemporanea track by track da Cielo d’Alcamo e “Rosa”.
"Rosa" è un pezzo centrale nel CD perché tutto l’album è nato sull’idea dei contrasti, sia musicali che testuali. In questo caso il "Contrasto" di Cielo d’Alcamo era per noi molto interessante perché metteva insieme due sfere ben precise della cultura duecentesca: quella popolare e quella colta. Forse Cielo (o Ciullo a determinare un’ascendenza più umile dell’autore) era un giullare, ma linguisticamente il suo contrasto fa rintracciare ascendenze anche molto raffinate che potrebbero essere frutto di un intervento posteriore ma anche, invece, di una matrice culturale propria del poeta stesso. Ciò che ci interessava era la freschezza e la immediatezza della composizione che esprimeva l’eros popolare con movenze di gioco e di sfida tra i sessi; su questo impianto ci siamo mossi musicalmente tentando una scrittura essenzialmente diversa dalle nostre sonorità tradizionali, e sposando quindi elementi elettrici con elementi acustici. Dal punto di vista armonico il pezzo è stato riscritto più volte assumendo alla fine connotati mimetici e sapori mediterranei che hanno trovato un punto d’incontro con il senso più intimamente drammatico della nostra musica.

Charlie Chaplin e “Monsieur Verdoux”...
In questo brano abbiamo descritto con l’aiuto del grande Chaplin l’amore moderno, quello novecentesco. Se "Rosa" rappresenta l’aspetto vitale, sano e semplice del rapporto uomo-donna, in "Verdoux" abbiamo il dramma della perdita dell’innocenza e, al contempo, della sua nostalgia che si esprime con il sentimento del patetico. Il tenero Verdoux, infatti, è costretto ad uccidere le ricche mogli che si procura per poter sostentare la sua vera famiglia. E per contrasto abbiamo agito, qui, musicalmente, al contrario che in "Rosa": l’uso del riff e di sonorità più dirette produceva così, secondo il nostro punto di vista, un più di senso. E devo dire che ritengo "Verdoux" uno dei brani più efficaci dell’album.

TorquatoTasso e “Libera”...
In "Libera" l’esperimento prende le mosse da un madrigale del Tasso molto noto e, anche, molto bello. Il testo poi si sviluppa in modo originale allontanandosi del tutto dalla matrice classica e assumendo i contorni di una forma secca e nervosa in cui i nessi scompaiono e lo stile diviene quasi tutto nominale e verbale in accostamento libero. Il passaggio tra i due momenti del brano è quasi brutale e, sicuramente, senza sfumature; a sottolineare il forte stacco interviene un cambio ritmico e armonico fortissimo che dalle tonalità suggestive della parte iniziale passa ad un timbro scabro e potente con venature punkeggianti nel finale.

Guido Cavalcanti e “Luminosa”...
In questa canzone sono presenti aspetti del tutto nuovi per ARPIA. Innanzi tutto, dal punto di vista musicale, il brano parte con un’ambientazione suggestiva sottolineata dall’arpeggio della chitarra che si snoda fino a sfociare in un contesto musicale più elettrico ed oscuro; di qui prende le mosse una seconda parte dagli echi medioevali o rinascimentali interpretati però in una chiave timbrica tipicamente rock. Il testo segue ed interpreta questa struttura con una prima parte ricca di sinestesie ed accostamenti inconsueti per confluire in un linguaggio basso e con inflessioni tratte dal parlato; infine si apre al riadattamento di una poesia di Guido Cavalcanti segnato da uno stile luminoso e magnificente.

Ciacco dell’Anguillara ed “Il contrasto della villanella”...
Qui il discorso è simile a "Rosa", ma nello stesso tempo antitetico, perché il contrasto è giocato tutto sulla contrapposizione tra livello testuale e livello musicale

Infine, Rinaldo d’Aquino e “Terramare”...
Il rapporto tra amore e dolore è al centro di questo brano, in cui la relazione di contiguità e, al contempo, di alterità tra l’elemento femminino e maschile sono la chiave per capirne il meccanismo interno.

Mi ha particolarmente colpito la crudissima “Metrò”, quasi una sorella, in quanto a spigolosità espressiva, di “Coprofagia”.
Nella dimensione erotica contemporanea, segnata nell’immaginario da una connotazione metropolitana e cittadina, il rapporto con il femminile in "Metrò" sta all’amore come, nel rapporto con la città, la sodomia sta alla conoscenza dell’altro. La scena è quella di una sodomia notturna in una metropolitana. Metropolitana essa stessa sodomizzatrice della città. Città sodomizzata e sodomizzatrice delle sue creature dentro un mostruoso budello notturno. La sfasatura che si produce tra il mondo rappresentato in questo brano e quello, ad esempio, di "Rosa" è tutta legata alla perdita di spontaneità e dell’elemento ludico che contraddistingue la sfera amorosa così come viene vissuta oggi.

“Bambina regina”, “Diana”, “Mari”, “Piccolina” ed “Umbrìa”… vi rintraccio una dolcezza di fondo, espressa con un raro sentimento di misurata grazia, quasi che vogliate comunicare, senza per questo esternarlo con troppa leggerezza, affetto ed amore per chi vi circonda, per coloro che vi sono intimamente accanto.
Sì, c’è un’apertura verso l’altro che è alla base di questo nostro lavoro e che segna la sua distanza dal solipsismo degli esordi. Pure questo nuovo atteggiamento è scomodo e difficile e si manifesta, sempre, con una difficoltà attraverso forme contrastate e accoppiamenti non-giudiziosi testo-musica.

Nella bio leggo: “…il cui nucleo (di Terramare) può essere individuato nell’esperienza erotica del mondo”. Quale è il significato di queste vostre parole?
Essenzialmente è legato alle coordinate filosofiche di questo lavoro, tutte orizzontali e in cui l’elemento religioso e trascendente è aprioristicamente escluso. E’ escluso, voglio specificare, soprattutto perché non sentito, perché assente dal nostro orizzonte. In questa dimensione espressiva ciò che è centrale in tutto il lavoro è l’attenzione alla sostanza erotica in quanto energia primitiva e motore primario. Questa energia è difficile e non gestibile, fondamentalmente rivoluzionaria e, soprattutto, irrazionale. Come potevamo non fare i conti con questo aspetto? La sfida era dunque chiara: era in grado la nostra musica di esprimere questa dimensione esistenziale? La risposta, naturalmente, non dobbiamo darla noi.

“Gioco di contrasti” (espresso dallo stesso titolo dell’opera) e “combinazioni amorose” sono altri passaggi che mi hanno colpito: è “TerraMare” incentrato sulla sessualità, sull’amore solo in senso fisico, o riconoscete a questo sentimento così bello pure un ruolo più impalpabile, più spirituale?
L’equivoco più evidente della nostra impostazione era proprio questo: una contrapposizione tra amore materiale e amore spirituale. Il fatto è che le coordinate orizzontali di terra e mare non rappresentano per nulla un polo di materialità. Al contrario la spiritualità emerge chiaramente in molti dei brani di "Terramare" come totalmente inscritta nella fisicità. L’elemento celeste è stato escluso perché, per noi, la spiritualità non è legata all’elemento aereo, bensì all’elemento ctonio, profondo, oscuro.

V’è poi il richiamo alla classicità, ad impulsi primitivi nel senso di incorrotti. Quasi un anelare ad un paganesimo idealizzato.
E’ questo un riferimento che era obbligato per mettere tra parentesi (se questo fosse possibile) l’esperienza cristiana dell’eros che tanti danni ha fatto al nostro senso profondo della sessualità. Perché l’unico senso del divino che poteva esprimere questa rinnovata volontà di parlare ed esprimere un mondo erotico estraneo alla sfera del peccato era quello precristiano. In questo senso anche la mitologia interna di alcuni brani affonda nel mito classico: un esempio tra tutti è Diana.

Alla luce dell’affermarsi di una corrente positiva nell’espressione della musica alternativa, con gruppi o solisti che affrontano tematiche religiose, anche proponendo un sound aggressivo, pesante ed a volte tipicamente metallico, apparentemente in contrasto con il tipico atteggiamento di questi settori del più vasto movimento musicale cosiddetto rock, come giudicate queste espressioni confessionali?
Non ne penso molto bene, non certo per motivi religiosi, ma perché mi sembra che spesso sia stato una semplice operazione commerciale. In più il fatto stesso che siano espressioni confessionali non depone molto a favore di una loro effettiva libertà di fondo.

L’artwork del disco è tratto da opere di Ettore Frani, vi sarei grato se illustraste a favore dei lettori il suo significato, e ci ragguagliaste più diffusamente a proposito di questo artista.
Il nostro incontro con Frani è nato per un’intuizione di Fabio Brait che ha scoperto in una galleria di Roma un suo quadro e ne è rimasto così colpito da comprarlo. Ciò che lo aveva impressionato era la profonda sintonia che rintracciava tra quell’opera e la nostra musica. Il passo successivo è stato immediato: lo abbiamo incontrato personalmente e abbiamo avviato un rapporto veramente proficuo. Lì abbiamo discusso sin da subito dell’opportunità di fare qualcosa insieme, e l’idea del libretto del CD è nata immediatamente. Ho potuto apprezzare appieno le sue straordinarie piazze, i suoi sentieri, tutti in un linguaggio scarno e essenziale; sono le opere che preferisco, che più mi scavano dentro, insomma l'espressione profonda di un paesaggio che, per me, è interiore. La sua arte mi sembra, comunque, sempre significativa, mai gratuita; e questo, ne sono convinto, è il senso più vero del suo impegno e del suo lavoro.

Per quanto riguarda le esibizioni dal vivo, che per una band rappresentano la finalizzazione in un certo senso dell’impegno creativo, in quali occasioni e quante volte avete affrontato il palco, e limitatamente a “TerraMare”, quante volte avete proposto questi brani, e con quali reazioni da parte dei convenuti?
Stiamo proprio in questi giorni preparando la nostra prima data, un concerto spettacolo in cui musica e teatro si fondono a rappresentare – attraverso un testo teatrale originale – il mondo di Terramare. Si terrà sabato 17 marzo al Teatro Affabulazione di Ostia (RM) insieme ad un’esposizione pittorica di Ettore Frani. Anzi colgo l’occasione per invitare tutti coloro che sono interessati a contaminazioni tra le varie arti a partecipare.
- Quanto dovremo attendere, per ascoltare il successore di “TerraMare”?
Non molto; stiamo già preparando nuovo materiale e vogliamo darvene un anticipo. Si tratterà con molta probabilità di un’uscita doppia: un libro e un CD. Il progetto prevede infatti la stretta interrelazione tra il racconto e la musica e speriamo proprio di poter concretizzare il tutto entro la fine del 2007.

E questo, per ora, è tutto. ARPIA ci ha adusati a lunghi silenzi, sempre ripagati dall'elevatissimo valore intrinseco delle Opere via via proposte. A quanto pare non dovremo poi attendere ancora a lungo, per riascoltarli nuovamente. Per ora, apprezziamo "TerraMare" nelle sue molteplici sfaccettature. Grazie, ARPIA!

Recensioni: Terramare; Racconto d'Inverno

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