Il decimo album prodotto dalla giovane label TRJ Records rappresenta un deciso passo in avanti nel mondo del jazz, Maria Ventura è una musicista e cantante molto complessa e poliedrica, la sua ricerca non si esaurisce nel mondo del jazz, ma predilige la contaminazione. La formazione di questa artista bresciana è partita con il canto classico, che ogni tanto affiora tra i solchi di questo cd, ma Maria non disdegna nemmeno il pop d’autore. Fra questi due estremi possiamo trovare suggestioni latine, testi dal profondo gusto cantautorale, vere poesie, talvolta un po’ complesse, ma capaci anche di emozionare.

Maria usa la voce con un’abilità non comune, la sua bravura emerge quasi con prepotenza fin dall’iniziale “Analist’ Song”, che presenta dei vocalizzi temerari, poi il brano affascina anche per gli inserti di samba su un tappeto di jazz molto morbido, davvero degli arrangiamenti pieni di gusto, che Maria ha costruito col contributo di un trio di ottimi musicisti, Vittorio Bianchi al pianoforte, Giorgio Cerruti al contrabbasso ed Eugenio Piovanelli alla batteria. Bianchi è anche il produttore del disco, insieme al patron Roberto Tiranti. Ascoltando i brani che scorrono si può gustare tutta la raffinatezza impressa nel lavoro, che certamente è rivolto ad un pubblico esigente, anche se certe atmosfere create dalla voce della Ventura e dal gusto dei suoi musicisti rappresentano ottimi momenti d’atmosfera.

In un tempo che sta banalizzando tutto in modo fortemente preoccupante Un Filo di Pazzia è un disco estremamente elegante, che ha il difetto di essere anche troppo raffinato (ovviamente la mia è una provocazione), e forse è proprio questo che la Ventura vuole nascondere dietro le parole del titolo, ci vuole un pizzico di pazzia per fare un disco come questo, ma sarebbe una pazzia anche farselo scappare. GB

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