Rock Impressions

Valhalla VALHALLA - Valhalla
United Artists
Distribuzione italiana: -
Genere: Hard Rock sinfonico
Support: Lp - 1969

Quando ho comprato questo disco sapevo solo che era catalogato come “hard rock”, ma non avevo altre notizie su questo titolo, solo mi aveva incuriosito il nome del gruppo e la copertina dal gusto epico, poi con sorpresa ho scoperto che era l’opera prima del talentuoso Mark Mangold, un tastierista che ha avuto un notevole successo negli anni a venire, tanto da suonare con Cher, Michael Bolton e Aldo Nova, anche se io l’ho apprezzato in particolare in gruppi di hard rock melodico come gli American Tears, Touch e Drive She Said.

Questo disco risale alla fine degli anni sessanta e Mark era ancora un ragazzo, come probabilmente lo erano i suoi compagni d’avventura, ma il loro rock sinfonico era già maturo e pronto per la rivoluzione musicale che stava crescendo, invece il destino ha voluto che questa restasse l’unica testimonianza su disco dei Valhalla, gettando così il gruppo in un ingiusto oblio che solo gli appassionati più curiosi riescono a penetrare.

Il sound di questa band è un mix di Deep Purple e Procol Harum, con le tastiere in grande evidenza, ma dove anche la chitarra acida di Don Krantz si fa sentire. Non è un “capolavoro”, non è il disco che “tutti dovrebbero avere nella loro discografia” o il mega classico dimenticato, ma è un disco onesto, suonato con passione e con delle belle canzoni.
L’iniziale “Hard Times” apre con un classico riff di organo hammond molto duro, psichedelia e hard rock si fondono e ne esce un sound carico di nostalgia, la chitarra corre in libertà, mentre Mangold si mette subito in risalto col suo tastierismo carico di passione. “Conceit” risente ancora molto del pop dei sixties con le sue melodie ariose, ma è ancora una bella canzone, molto meno hard rock della prima, salvo poi irrobustirsi in un crescendo finale. Le atmosfere dei Procol Harum arrivano ancora più evidenti nella romantica “Ladies in Waiting”, molto bello l’assolo di organo. L’hard rock torna con enfasi nell’acida “I’m Not Askin”, che sfiora il progressive con le sue fughe strumentali, un brano che dal vivo poteva essere dilatato in lunghe jam sessions, certi giri ricordano anche i Doors più duri, questa volta è la chitarra ad essere in primo piano, anche se le tastiere formano un tappeto perfetto. “Deacon” a sorpresa si rifà ad una tradizione musicale legata al cinema e ricorda sonorità alla Morricone. “Heads Are Free” ci riporta in atmosfere più rock, ancora grande l’influenza della psichedelia garage di gruppi come Music Machine e Shadows of Knight, c’è un intermezzo con un duello chitarra, tastiere e batteria, molto gustoso. Arriva anche il momento del blues con l’incendiaria “Roof Top Man”, ma il gruppo si lancia in improvvisazioni molto ispirate. “UBT” è un altro lento dolce e carezzevole, con un basso che emerge sopra un tappeto onirico di tastiere che ancora una volta si trasforma in un robusto crescendo. “Conversation” si discosta un po’ dal resto del repertorio con un incedere funkeggiante e ritmato. Per finire troviamo l’apoteosi sinfonica di “Overseas Symphony”, siamo davvero ai limiti del prog ed è un brano che dimostra quanto fossero buone le potenzialità di questa band.

Peccato per i Valhalla, ma per fortuna Mangold non si è fermato ed ha continuato a dare vita a progetti musicali importanti e noi ne siamo riconoscenti. GB

Sito Web di Mark Mangold


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