Effetto 
            tritacarne. Ecco quanto provato dal sottoscritto all’ascolto 
            di “Galapagos momentum”. I giuovini UA così si 
            comportano colla loro musica: porzioni sanguinolente di punk rock, 
            di metal ultratecnico di derivazione speed, di rock progressivo, il 
            tutto mescolato a dovere con tanta, tanta follia compositiva. Ne derivano 
            le dieci tracce presenti sul dischetto che stiamo anatomizzando, aperte 
            dalla incredibilmente sfacciata (non solo nel titolo…) “Who’s 
            running shit (son of destiny’s child)” (!!!!). Una fusione 
            (nucleare!) perfettamente riuscita, ove convivono senza apparenti 
            stridori King Crimson, Henry Cow, Univers Zero, Meshuggah, Cynic, 
            free jazz figlio degenere di John Coltrane e della Mahavishnu Orchestra. 
            Da emicrania, ve lo assicuro. Tutto ha avuto inizio nel 1997, a Vista, 
            un villaggio rurale a nemmeno un’ora di strada da San Diego. 
             
            Il responsabile del gesto insano è il chitarrista Paul Lai, 
            al quale si unirono altri degni compari, fino a giungere all’attuale 
            formazione che, oltre al citato, comprende il batterista Jesse Appelhaus 
            ed il bassista Eric Kiersnowski (sezione ritmica skizzatissima) e 
            l’altra sei-corde appannaggio del forsennato Braden Miller. 
            Debut datato ’99 (“In the Acrux of the Upsilon King”), 
            poi via tuttodunfiato con “The last pirates of Upsilon” 
            (esaltato da tale Thurston Moore della giuoventù sonica!), 
            “Last train out”, “Volucris Avis Dirae-Arum” 
            fino al presente, il primo sotto l’egida dell’attenta 
            Cuneiform Records. 
             
            Poco più di quaranta minuti di arditissimi esercizi ginnico-musicali 
            da spaccarsi la colonna vertebrale, se non si è sufficientemente 
            allenati, ove il genio del più visionario Robert Fripp e l’oltraggiosa 
            foga nichilista del punk primordiale vengono asserviti ad un verbo 
            espressivo che sa dosare la propria violenza esecutiva. Ottimo il 
            lavoro svolto dal producer Jay Pellicci (già all’opera 
            con Gravy train e Deerhoof), il quale in coppia col fratello Ian è 
            riuscito nell’impresa di smussare i molti angoli che sfaccettano 
            le personalità dei musicisti, senza snaturarne l’indole. 
            Impresa titanica e riuscitissima, tanto che GM appare come il più 
            accessibile capitolo della discografia di questi discoli, eppur suonando 
            così irriverente ed innovativo! Eccellente! PS: hanno suonato 
            con tutti, ma proprio tutti i più pazzi esponenti dell’ultima 
            frontiera del music-biz: Fred Frith, Anal Cunt (!), Don Caballero, 
            The Black Heart Procession, Trumans Water, The Boredoms… e l’elenco 
            è lunghissimo! AM 
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