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            Il 
            danese Robin Taylor (Taylor’s Universe) è uno dei musicisti 
            più eclettici ed interessanti dell’elite del prog d’autore, 
            è un polistrumentista che ha già inciso un’ottima 
            serie di album, sia come solista che con le formazioni Taylor’s 
            Universe e Free Universe. Molto stimato dalla critica, non ha mai 
            raggiunto il grande pubblico, anche perché ha sempre cercato 
            soluzioni musicali evolute e quindi non di facile presa. In questo 
            disco lo accompagnano alcuni musicisti di valore, fra i quali spicca 
            Karsten Vogel (ex Burning Red Ivanhoe e Secret Oyster).
 Il disco parte con un intro molto sperimentale dal sapore quasi elettronico, 
            ma poi il nostro si mette in cattedra e sforna un pezzo serrato molto 
            Crimsoniano, con un hammond micidiale e un ritmo altamente trascinante, 
            sembra di essere tornati ai tempi d’oro del prog! “Johannesburg” 
            è retta da melodie splendide, costruite su un impianto rock, 
            ma dense di poesia, un momento di particolare grazia espressiva, che 
            si chiude con una specie di cantilena che sembra il canto di una sirena. 
            Con “Swingers” è il jazz a mettersi in cattedra 
            e mostra come lo straight jazz può ancora risultare attraente 
            e dire qualcosa di nuovo. Ma ecco il pezzo forte, per i miei gusti, 
            la title track è un brano epico e viscerale, che sfodera un 
            possente prog ai limiti dell’hard rock, una marcia solenne e 
            teatrale di grande fascino, splendida, da sola vale tutto il cd. “Mind 
            Archeology” che chiude l’album è una piece de resistance, 
            è come deve essere il prog, sperimentale al punto giusto, ma 
            anche piacevole da ascoltare, certo che quando parte il sax scatenato 
            di Vogel diventa davvero difficile stargli dietro, che brividi. “Izmit” 
            è una bonus track che gioca a stravolgere melodie caraibiche 
            per inserirle in un contesto prog, è un esperimento un po’ 
            folle, che ci ricorda le visioni Zappiane, ma in fondo è bello 
            scoprire che si può giocare con la musica, divertirsi e divertire, 
            l’unico difetto è il finale che è un po’ 
            troppo lungo e poco significativo.
 
 Taylor si conferma essere autore raffinato, in alcuni momenti geniale, 
            comunque sempre non convenzionale, anche quando esplora territori 
            più prevedibili. Godere della sua musica è un privilegio, 
            la cosa bella sarebbe se questo potesse essere alla portata di tutti. 
            GB
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