Rock Impressions

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Sunpilots - King of the Sugarcoat Tongue SUNPILOTS - King of the Sugarcoat Tongue
Honeytrap Records
Distribuzione italiana: Plastic Head
Genere: Post Modern Prog
Support: CD - 2012


Di storie strane ce ne sono parecchie, storie che alla fine diventano di ordinaria normalità o, se preferite, di abituale anormalità, per chi non ha voglia di scavare nel profondo, ma non è un caso se una band australiana ha deciso di trasferirsi in Germania per fissare la propria base operativa nel cuore della vecchia Europa. I the Sunpilots pubblicano il loro secondo album, che sarà disponibile anche in download gratuito sul loro sito internet (in calce alla recensione) e si candidano ad essere una delle nuove band più interessanti in ambito post modern prog. Del resto la “terra dei canguri” (nessuna intenzione canzonatoria da parte mia) ci ha già regalato alcune band davvero interessanti come i Cog, non molte per la verità, ma quando riescono ad arrivare dalle nostre parti sono sempre artisti da prendere con grande interesse.

Il disco si basa su un concept dove si immagina il collasso della nostra civiltà e del bisogno di sicurezze degli uomini che devono affrontare questa emergenza, la partenza è affidata a “3 Minutes to Midnight”, che ha una prima parte molto melodica, che mi ricorda molto certe cose di Billy Joel, poi il brano assume toni molto nervosi e ritmicamente complessi, rivelando un prog post moderno molto interessante e anche piacevole da ascoltare. Il senso di dramma aumenta con la successiva title track, intrecci quasi Crimsoniani, ma sempre presenti belle melodie, che rendono tutto molto fruibile, un’attitudine che a me piace molto, perché se è vero che la musica deve rivelare doti compositive non comuni per complessità ritmico armoniche, è anche vero che il tutto deve lasciare un senso di soddisfazione che solo delle belle melodie riescono a darci, davvero un grande brano con un ottimo crescendo di intensità drammatica. “The Captain” continua sulla strada giusta, il senso di incombente tragedia è sempre ben espresso, il mix di parti più complesse e altre più armoniche è un dono che anche qui possiamo apprezzare, ma questo è un brano pazzesco che raggiunge un livello di intensità formidabile, con uno dei migliori crescendo degli ultimi tempi. Le idee continuano a fluire anche nei brani successivi, che non perdono un grammo di tensione e conducono con mano sicura l’ascoltatore all’interno di questo intrigante concept. Altri riferimenti che si possono ricordare sono i Pain of Salvation, per la complessità del concept e l’intensità drammatica, i Muse per certe soluzioni melodiche, i Led Zeppelin per la forza di certe parti più ruvide, le citazioni si sprecano, quello che resta è un profondo senso di ammirazione per questo piccolo gioiello.

Un disco spettacolare, alla faccia di tutti quelli che pensano che non escano più bei dischi di questi tempi, da mettere al pari di The End is Begun dei Three, dischi che ti fanno venire voglia di credere nella musica e soprattutto nei giovani artisti, che grazie al cielo sono ancora capaci di emozionarci e anche tanto. GB

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