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            Già dal titolo, "The KH Project", si intuisce che 
            qualcosa è cambiato all'interno del combo cristiano di Austin. 
            Che per inciso ebbi il piacere di conoscere in occasione dell'uscita 
            del solido "Heaven's calling" (anno 2000), presto bissato 
            dall'intrigante "Jawhook". Già, per questa sua ultima 
            fatica pare proprio che il mainman Kevin Humphrey abbia voluto fare 
            tutto da solo, anche se una nota del booklet riporta come produttore 
            il fratello Michael e ricorda che il materiale viene performato live 
            dalla Steelwind band.
 
 Un grande impegno compositivo ed esecutivo ricadente sulle uniche 
            spalle, robuste, del nostro Kevin, la sorridente e rassicurante faccia 
            del quale (si noti una certa simiglianza col compianto Freddy Mercury) 
            fa la sua bella vista sulla copertina. Per quanto riguarda i contenuti, 
            il sound risulta a tratti un pochino scarno, fattore questo ascrivibile 
            alla mancanza di un vero gruppo, e che risalta sopra tutto se posto 
            a paragone col predecessore, il citato "Jawhook" segnato 
            da ridondanti rimandi al pomp-prog di classe ascrivibile ai primi 
            Asia.
 
 L'opener "I have walked through the fire" è connotata 
            da pregevoli passaggi di Bostoniana memoria, "Don't want a new 
            lover" perpetua la onorata tradizione A.O.R. statunitense di 
            fine '70 inizi '80, "Spread your wings" è fluente 
            ballata dotata di un rimarchevole solo-guitar, ed inoltre offre un'ottima 
            opportunità per dar risalto alla bella voce del nostro Kevin. 
            "For his name's sake" scivola via veloce in virtù 
            di una struttura assai semplice, comunque mai banale, "Tears 
            fall from Heaven" è lento atmosferico ascrivibile alla 
            scuola di Gary Moore, e che Kevin traduce in riuscito esercizio di 
            stile. Pure la successiva "Living the future" assume i pacati 
            connotati della classicissima slow-song sconfinante nel pomp di maniera, 
            ed il ritmo torna presto a farsi sostenuto con la secca "Lion 
            of the tribe of Judah", disegnata da chitarre classy e dal discreto 
            apporto delle tastiere. Chiudono, confermando le buone impressioni 
            fino ad ora ricavate dall'ascolto del dischetto, "In my dreams", 
            "Greater is He" e "What has happened to the truth?". 
            Ribadendo che l'attuale risulta un pochino inferiore a "Jawhook", 
            va comunque premiato il grande sforzo di Kevin, artista sensibilissimo, 
            ed i testi lo dimostrano, e dotato di virtù assai rare oggigiorno, 
            quali l'umiltà e la costanza.
 
 Disco consigliato a tutti gli amanti dell'A.O.R. più incontaminato 
            ed a coloro che cercano nella musica messaggi positivi. AM
 
 www.steelwind.net
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