I
The Red Zen si formano nel recente 2009 e sono un progetto dedito
ad un Jazz Rock Prog dalle influenze sia Psichedeliche che Fusion.
L’idea nasce da quattro artisti gia noti nel nostro paese per
aver militato (ed alcuni fondato) band di notevole caratura quale
i “genesiani” The Watch. Qui le sonorità affrontate
sono però di ben altra sostanza, amanti dell’improvvisazione
e dell’ensamble strumentale, i The Red Zen registrano questo
debutto in quel di Milano. Chi ama il Progressive Rock, troverà
in “Void” numerosissimi punti di riferimento, fra i quali
gli Ozric Tentacles, Genesis, Weather Report, King Crimson, Pink Floyd,
EL&P su tutti.
Certamente unire Jazz alla Psichedelìa non è cosa in
cui ci si imbatte tutti i giorni, per cui è naturale e spontaneo
sottolinearne la bontà del messaggio culturale, assolutamente
indirizzato ai palati più sopraffini, ossia a tutti coloro
che dalla musica pretendono qualcosa di più che un semplice
refrain e ritornello. Onore anche alla Ma.Ra. Cash che crede e sviluppa
lavori di artisti che suonano principalmente per il proprio piacere,
non obbligatoriamente rivolti ad un mercato più ruffiano e
popolare.
Ettore Salati (chitarre), Angelo Racz (tastiere), Roberto Leoni (batteria)
e Nicola Della Pepa (basso) sono gli artefici di questo disco suddiviso
in nove tracce per una durata di quasi un ora di musica.
Con una pulizia sonora davvero efficace e cristallina, il disco si
apre con “Cluster”, un intercalare di tastiere e chitarra
elettrica su un a ritmica sostenuta ma mai caotica. I solo strumentali
sono il nocciolo dell’ascolto, per cui ampio spazio a duetti
fra Salati e Racz, il tutto inevitabilmente come lo stile Prog insegna,
ossia fra cambi di tempo. In generale, l’approccio musicale
è di chiaro stampo live, si denotano in tutti i brani le scorribande
sonore tipiche dell’improvvisazione e del divertimento frutto
della jam, tuttavia in questo caso la cura per gli arrangiamenti e
per la struttura musicale è notevolmente curata. Tutti i pezzi
sono di medio lunga durata, si viaggia sui sei minuti per brano ed
ognuno di loro esprimono solarità, quella tipica della nostra
musica. Trascinante “Hot Wine”, mentre “Slapdash
Dance” è stile Brand X, davvero energetica nella sua
semplicità armonica, salvo svilupparsi successivamente fra
suoni psichedelici dettati dal sitar di Salati. Di certo la fantasia
non manca al quartetto, tanto meno la tecnica individuale, anche se
tutto questo non va a discapito della linearità sonora, mai
fa capolino la sensazione di soffocamento da scale improbabili. Invece
i Genesis vengono inesorabilmente chiamati in causa a tratti dalle
chitarre, ma questi sono solo brevi frangenti, per il resto l’orizzonte
sonoro propone davvero di tutto. Di “Alexa In The Cage”
se ne hanno due versioni, una strumentale ed una cantata, qui il compito
al microfono viene espletato dallo special guest Joe Sal.. Se si vuole
cogliere un momento di respiro dopo tanto sciolinare, bisogna giungere
ad “Into The Void”, dove le tastiere disegnano aurei movimenti
supportati dal caldo basso di Nicola. Gradevolissimo il solo di chitarra,
qui fuoriesce in tutta la sua nudità la cultura musicale dei
quattro componenti, i quali dimostrano di avere nel proprio bagaglio
culturale davvero tanti punti di riferimento.
In definitiva “Void” non ha segni di cedimento, chi ama
la musica qui descritta troverà in esso un capolavoro, io invece
non mi attengo a questo, ma riesco comunque a quotare il tutto con
entusiasmo e piacere, quello che i The Red Zen riescono a trasmettere.
In Italia abbiamo tanti grandi artisti, supportiamoli, perché
non hanno nulla a che invidiare a nomi più altisonanti e troppo
spesso sopravvalutati. Consigliatissimo. MS
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