Rock Impressions

Quintessenza - Nei Giardini di Babilonia QUINTESSENZA - Nei Giardini di Babilonia
Selfproduced
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog Metal
Support: CD
2010


Per il loro terzo album i Quintessenza, band di Volterra, hanno fatto un meticoloso lavoro preparatorio, durato circa dieci anni di lavoro (se non ho capito male), un impegno notevole, se si pensa poi che il disco è autoprodotto e che oggi il mercato difficilmente può ripagare un simile sforzo, eppure la band non si è fatta intimorire dalle evidenti difficoltà ed è andata dritta per la sua strada fino ad arrivare all’agognata pubblicazione di questa opera rock dal titolo affascinante.

Nel cd è presente una traccia interattiva che da accesso a contenuti extra fra cui mi preme segnalare la possibilità di downlodare un libro che costituisce l’ossatura del concept sottostante al cd, una lettura affascinante, vagamente esoterica, che permette un viaggio migliore fra le visioni proposte dalla band.

La partenza è ottima, atmosfere molto teatrali, con l’ospite Elena Alice Foschi (dei Kirlian Camera) che incanta subito, si respira il prog del Banco e di un po’ tutta la tradizione italiana dei settanta, fra recitazioni ricche di citazioni e di umori, poi arriva la title track e le atmosfere si irrobustiscono fino ad arrivare ad un metal molto tecnico di ispirazione anni novanta, il mix fra tradizione e metal alla Dream Theater è davvero impressionante, anche se alcune soluzioni vocali del singer Diego Ribecchini, per quanto molto tecniche, non appaiono del tutto integrate con la musica, in particolare quando si lancia in acuti improvvisi alla King Diamond. Il senso drammatico viene esaltato dalle parti recitate che fanno da unione tra i brani, che sono divisi in capitoli, come ne “La Porta Rossa”, poi arriva il metal serrato e incalzante di “Viscere” e la band mostra un certo coraggio nell’accostare situazioni molto diverse tra loro. Ribecchini canta bene e in certi momenti ricorda perfino Renga, quindi le mie considerazioni non vogliono sminuire le sue qualità, solo che il cantato in italiano, come avveniva anche in molti nostri gruppi degli anni ’70, fa molta fatica ad integrarsi con le musiche. Comunque sia questo è un gran brano. Ottime tutte le parti strumentali, sulle quali c’è poco da eccepire. Il lirismo di “Un Volo d’Argento” è da brividi, questa ballata ci dona la misura di questi artisti. Le difficoltà espresse maturano in “Nuovi Rami”, i cui intrecci nervosi e complessi non ripagano l’ascolto attento. Nemmeno il brano “Quintessenza” fuga i dubbi. Fra luci ed ombre si arriva alla conclusiva “La Fine del Viaggio”, che propone in apertura un bel giro metal, ma non bisogna ingannarsi, in realtà è uno degli episodi più prog del disco.

Nei Giardini di Babilonia è un disco difficile, che richiede vari ascolti per essere interiorizzato e per poterne apprezzare tutte le sfumature, perché è molto ricco sia a livello concettuale che musicale, merito di un gruppo che ha svolto un gran lavoro, però ci sono ancora degli spigoli da smussare e su questi si dovrà concentrare l’attenzione della band per il futuro, sono sicuro che l’obiettivo sia davvero molto vicino. GB

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