Rock Impressions
 

INTERVISTA A LELIO PADOVANI
di Massimo Salari

Ciao Lelio, tu hai iniziato a suonare in giovane età, ti sei dilettato fra basso e chitarra, cosa ti ha spinto a dedicarti di più a quest’ ultimo strumento?
Quando ho iniziato a suonare i miei idoli musicali erano gli Who, quindi sono stato fortemente indeciso se essere il solista del gruppo (John Entwhistle) o la mente creativa (Pete Townshend): ho capito ben presto che la creatività mi attraeva di più. Ricordo di avere “composto” un brano musicale subito dopo avere imparato i primi accordi… Armonicamente ho più libertà con la chitarra, anche se mi piace ancora molto il basso: ne ho comprato uno a 5 corde per suonarlo sul cd e mi sono divertito tantissimo.

Parlaci del tuo nuovo lavoro, “The Big Picture”, a cosa si ispirano i brani?
Il Cd è nato dall’idea di esplorare le melodie, anziché partire da riff o sequenze di accordi; il concetto è stato quindi quello di costruire, quasi geometricamente, gli arrangiamenti dei brani “sotto” di esse, lavorando, per così dire, al contrario. In realtà questo sistema permette di produrre melodie che abbiano valore anche da sole, cantabili; è più libera anche la fase di arrangiamento, non legata in partenza agli accordi. I titoli sono venuti per ultimi, dopo le composizioni, e si riferiscono alle atmosfere che mi hanno suggerito:
- Escape è rapida, incalzante, come appunto una fuga;
- The Novel si sviluppa dal tema, che viene ripreso varie volte;
- On The Beach è un solare 5/4 con sorpresa finale;
- In The Brave Melody la ritmica è stata semplificata al massimo per fare risaltare la melodia. E’ un chiaro esempio del procedimento di scrivere per intero le melodie. Il brano è diviso in sei parti, che hanno in comune un tema di quattro battute.
- Serena’s Diary è naturalmente dedicato alla mia comprensiva ragazza, è una canzone lenta e piena di E-Bow;
- In The Big Picture ho contrapposto una parte chord/melody pulita ad un riff distorto suonato con la 7 corde; il titolo si riferisce alla somma delle parti;
- 22 Novembre è una traccia “acustica”, coi suoni di chitarra pulita;
- Into The Unknown si ricollega idealmente al titolo del mio precedente Cd “Unknown Evolution”, ed ha un’interminabile coda.

La copertina del cd è la foto di un ponte, la sua complessa struttura è correlata al contenuto sonoro che hai dato al disco?
La copertina in realtà raffigura la ruota panoramica del Prater di Vienna, ma hai afferrato il concetto e devo dire che sei uno dei pochi. Voleva essere una raffigurazione visiva della complessità della musica contenuta nel Cd, che si può vedere nel suo insieme ma anche come una costruzione fatta di tante parti più piccole. Mi piace pensare che un ascoltatore attento scopra dei dettagli nuovi ad ogni ascolto…

“Into The Unknown” si riallaccia al tuo precedente lavoro, senti di essere cambiato molto artisticamente da “Unknown Evolution”?
Ho voluto ricordare anche nei titoli, lasciando non a caso Into The Unknown come ultimo brano, l’incertezza che accompagna qualunque carriera artistica: dubbi sulla direzione artistica ma anche riguardo alla possibilità di sussistenza portando avanti questo lavoro. L’evoluzione comunque c’è stata, sia dal punto di vista tecnico nell’approccio ora più approfondito col computer, sia verso forme compositive più complesse.

Qual è il brano di “The Big Picture” che rappresenta al meglio Lelio artista e qual è quello insegnante?
Il brano centrale di questo Cd è “The Brave Melody”, che riassume il lavoro che ti dicevo prima sulle melodie: la ritmica è essenziale, dritta, semplice; è diviso in sei parti, che iniziano nello stesso modo ma proseguono ben diversamente, con l’apice nella terza parte in cui la melodia è in tre mentre la ritmica procede, impassibile, in due. Tutte le melodie sono comunque figlie della mia creatività e, allo stesso tempo, della mie competenze professionali di docente.

Ti ritrovi meglio a comporre brani energici oppure ballate?
Non trovo una gran differenza, sono entrambi modi di esprimere la mia musicalità.

Cosa ti ha fatto prendere uno strumento in mano?
E’ successo in modo semplice, in casa c’era una chitarra che mia sorella maggiore non suonava; la curiosità ha fatto il resto.

A quale chitarra sei più affezionato e perché?
Sicuramente sono affezionatissimo alla mia Fender Strat Hm bianca, che compare sul retro della copertina e che acquistai a Bologna tanti anni fa, l’ho suonata per tanti anni con grande soddisfazione per la sua versatilità.

Cosa ci racconti dell’esperienza Legacy?
E’ stata importante, con quel gruppo ho avuto la mia prima esperienza in studio, oltre a svariati concerti, recensioni, eccetera… Quasi tutti gli ex membri hanno continuato la carriera musicale, era un gruppo con delle concrete possibilità.

E invece cosa è stato il progetto A2A?
In questo caso la musica è decisamente più progressiva: un trio strumentale chitarra-tastiere-batteria col tastierista Luigi Melegari, collezionista tutto ciò che riguardi i Genesis, ed il batterista Alex Addis. Sul Cd (che ho prodotto) ho suonato anche il basso e la synth guitar.

A chi ti sei ispirato per suonare la chitarra, quali chitarristi prediligi?
Chitarristicamente sono cresciuto negli anni ’80, ed i miei preferiti sono Vinnie Moore, chitarrista neoclassico in evoluzione; George Lynch, super aggressivo; Eric Johnson, grandi suoni e grande fraseggio, e Joe Satriani, meritatamente capostipite della musica strumentale chitarristica per il suo senso della melodia. Potrei citare anche tanti altri…Questi sono solo quelli che secondo me hanno influenzato maggiormente il mio stile.

E’ meglio saper suonare un disco tecnicamente bene, oppure è meglio dare più risalto alle melodie commerciali a discapito della tecnica? Una via di mezzo, secondo te, è giusta?
Credo che la tecnica sia importante, perché ci mette in grado di tradurre in musica le nostre idee, ma non solo: essa retroagisce sulla creatività facendo nascere nuovi spunti. Come affermi tu a volte la sua mancanza può produrre lavori commerciali abbastanza piatti, poco originali ed innovativi. Anche se non è necessaria la tecnica per fare musica trovo che attualmente la mancanza di familiarità con lo strumento sia scambiata per una capacità, una specie di valore aggiunto. Forse ciò è dovuto ad una visione dualistica di due componenti della musica: da una parte abbiamo la tecnica e dall’altra la creatività che divengono quasi due termini antitetici, come se una dovesse escludere l’altra e che ovviamente la seconda fosse molto più importante. Io invece ritengo che tecnica ed “ispirazione” siano due momenti dello stesso processo creativo, anche se tecnica significa ragionamento non credo che tolga forza o spontaneità all’idea creativa, anzi aiuta a farne emergere il senso vero. Lo sfogo creativo, il vomitare sulla pagina od il registrare emozioni ed idee di getto è solo il primo passo, poi è necessario un lavoro di pulitura e costruzione dell’idea in modo che essa possa davvero trasmettere ciò che sentiamo. Ognuno ha il proprio modo di essere creativo: alcuni partono dalla tecnica, altri dall’emozione, ma in entrambi i casi l’importante è che il risultato artistico esprima davvero qualcosa che è dentro di noi, altrimenti rimane un esercizio o uno sfogo vuoto ed inutile.

Il tuo mestiere d’insegnante musicale ti è più da stimolo oppure qualche volta ti è d'impedimento?
E’ fantastico avere a che fare con persone giovani e spontanee, in qualche caso veri talenti che si aiutano a crescere e che riescono a lavorare come musicisti. Come in tutti i lavori ci sono dei lati negativi: è un mestiere faticoso e solitario, e vorrei avere più tempo per comporre e da dedicare agli affetti.

In questo nuovo millennio, in cui l’apparire è più importante dell’essere, tutto gira come sta girando… Possiamo sperare (almeno musicalmente) in un ritorno vero all’arte dove la creatività dell’individuo è messa al centro dell’ Io, oppure certe cose non possono più tornare (vedi anni ’60 e ’70)?
Vorrei sbagliarmi, ma credo che quell’epoca sia finita, almeno finché non si opera seriamente sulla cultura delle nuove generazioni, cominciando ad esempio dalla scuola.

Oggi, ha ancora un senso suonare Progressive o è rimasto un genere solo per pochi cultori?
Credo che il Progressive sia un genere che non scomparirà mai; sicuramente, essendo di difficile fruizione, al momento è diventato un genere di nicchia. Vorrei sottolineare che la “difficile” fruizione riguarda l’ascoltatore: ci agganciamo a quello che si diceva prima sulle nuove generazioni.

Ed ora una domanda cattiva, Tu non prenderesti mai più la chitarra in mano solo se….
Solo se trovassi qualcosa di più soddisfacente dal punto di vista creativo.

In futuro hai intenzione di fare brani con cantanti?
Mi piacerebbe, è una dimensione che ho esplorato in passato… Le collaborazioni arricchiscono la musica; l’amico Max Scaccaglia si è offerto di suonare il basso su “On The Beach” mentre già avevo iniziato il mastering, ma ho accettato con entusiasmo, anche a costo di ritardare l’uscita del Cd.

Quali sono i tuoi progetti futuri, puoi anticiparci qualcosa?
Ho tanti progetti: mi piacerebbe fare una versione orchestrale di alcuni brani di questo Cd, poi un Cd acustico, uno di canzoni… Sarebbe fantastico suonare dal vivo, specialmente questi ultimi brani, la dimensione live mi manca un po’.

Qual è stata l’esperienza che ti ha cambiato la vita di artista?
Sicuramente l’incontro con il mio ultimo insegnante, Alex Stornello, che chitarristicamente mi ha “rivoltato come un guanto”: studiare con lui è stato difficile, anche doloroso, ma è stato un incredibile salto di qualità.

Hai dedicato un brano alla tua ragazza, “Serena’s Diary”, quant’è importante avere vicino una donna per un artista?
E’ fondamentale. Nel mio caso Serena mi aiuta molto: è il mio primo pubblico, mi aiuta e mi dà consigli intelligenti su tutto. E’ naturale dedicarle almeno un brano per l’affetto, l’entusiasmo e la pazienza che mi dimostra sempre.

Ti faccio una domanda che faccio spesso a molti visto che non si trova una risposta ben definita: Perché le donne nel Rock e soprattutto nel Progressive, sono pressoché inesistenti (artisticamente parlando, ovvio)?
In parte si tratta di un problema numerico, nel senso che le donne che suonano sono molte meno; va anche detto che non sempre trovano un adeguato risalto nei media, che non danno loro credibilità dal punto di vista artistico.

Per concludere questa chiacchierata, ringraziandoti per la disponibilità, facciamo un gioco: Associa ogni canzone di “The Big Picture” ad un piatto o ad una qualsiasi pietanza da mangiare.
Escape: Spaghetti all’arrabbiata: un sapore deciso.
The Novel: Vitello tonnato. Morbido e raffinato.
On The Beach: Spaghetti con vongole, visto che il brano si ispira al mare.
The Brave Melody: Torta Sacher: una ricetta semplice ed efficace.
Serena’s Diary: Stracciatella: gelato alla panna con piacevoli sorprese.
The Big Picture: Riso alla cantonese. Tanti ingredienti in un solo piatto.
22 Novembre: Pollo al limone. Delicato.
Into The Unknown: Moscardini in agrodolce. L’apparenza inganna.

Grazie
Grazie a voi, a presto!

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