Mi
ricordo che avevo visto questo gruppo francese dal vivo di supporto
dei Mangala Vallis al tempo del loro debutto discografico (2002) su
Musea, a dire la verità non rimasi molto impressionato dal
songwriting del gruppo, molto legato ai Dream Theater e al prog metal
in genere, nonostante i buoni responsi della critica di allora.
Il sound di questa band da allora è però molto maturato,
anche se certi riferimenti sono rimasti saldi, presentando una sorta
di fusion metal che spazia dall’hard rock al jazz al più
classico prog, a contaminazioni col pop e la classica. Innegabile
il talento tecnico di questi ragazzi che si impegnano non poco per
mettere insieme una prova più che dignitosa, ma per me restano
le perplessità di allora. Le composizioni, se anche sono buone,
non possiedono quel appeal da renderle interessanti in un panorama
già molto affollato e questo quintetto rischia di diventare
uno dei tanti che ci hanno provato.
Il disco è diviso in due parti, la prima è un concept
composto da sette tracce che vertono sui sette peccati mortali, mentre
le ultime tre tracce sono legate fra loro col titolo “Legend”.
Si parte molto bene con il primo peccato “Pride”, sorretto
un bel giro armonico, anche se poi il ritornello inizia a suonare
già sentito. “Avarice” è nervosa e moderna
e ricorda vagamente i Pain Of Salvation. “Envy” ricorda
i Dream in modo veramente sfacciato e il singer che è impostato
come LaBrie non aiuta ad attenuare l’impressione, peccato perché
il brano non è male. Saltando la passabile “Anger”
si arriva alla ballad “Sloth” dove si avverte tutto lo
spessore del gruppo, ma anche i suoi limiti. Ancora più evidenti
nella faticosa “Gluttony”. La trilogia “Legend”
è più convincente e piacevole, anche se non cambia il
giudizio complessivo.
Questa non è una bocciatura, il gruppo è giovane e ha
tutte le possibilità per crescere ancora e darci in futuro
una prova finalmente svincolata dai maestri del genere, per ora sono
solo un gruppo di ottimi musicisti con un futuro tutto da scrivere.
GB
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