Rock Impressions

KZL333 - The Naked Void KZL333 - The Naked Void
Nomadism Records
Distribuzione italiana: ?
Genere: Post Punk
Support: CD - 2007

Già presenti con tre tracce (“No tomorrow”, “Silent please” e “Storm’s song”, accluse pure al presente) sulla compilazione “United Forces of Phoenix” ed autori di tre demo (dei quali ebbi modo d’ascoltare l’ultimo “Nausea” del 2005, il quale conteneva in nuce i germi della loro virulenta arte sonora), i siculi KZL333 giungono al meritato esordio sulla lunga distanza con “The naked void” lavoro ascrivibile alla corrente post-punk più autarchica, come ampiamente illustrato nella essenziale “Beyond the sunset”.

Il quartetto capitanato dal founding-member Enrico Anicito Guido, personalità ben delineata che sicuramente non difetta in quanto ad esplicità verbale, si lancia in assalti sonici all’arma bianca, come nell’irruenta “Storm’s song”, autentica bufera anche dal punto di vista lirico (“…rain falls like bile of God…”), mitigando l’aura minacciosa incombente sul disketto facendo sfoggio di decadente poesia urbana (“No tomorrow”) che sovente omaggia lo stile scarno e crepuscolare dei Joy Division, esaltato da una sezione ritmica concreta (Raffaele Trimarchi – drums ed Angelo Musumeci – bass) e da una chitarra affilata (Giancarlo Trimarchi). La costa orientale di Trinacria con KZL333 abbraccia la tenebra fuggendo la benevola protezione offerta dai raggi solari, “The boner” è l’ennesimo esempio di lirica stralunata, prove della quale vengono ulteriormente e generosamente distribuite lungo i solchi di TNV. Rifiutando pervicacemente qualsisia menomo accento al modernismo (“…always in revolt against the modern world…”) e facendo parco uso della melodia, che comunque non manca, anche se interpretata con piglio assai personale, i quattro baldi musici sono riusciti nell’impresa di coniugare passato (al quale si rifanno ricorrendo consapevolmente ad un sound dal marcato gusto retrò) e presente, coerentemente rappresentato da testi di aperta denunzia d’un malessere strisciante del quale non si può tacere (l’alienante “Esthetical murder”), ricorrendo quando necessario ad architetture appena un po’ più complesse, come nella tetramente maestosa e poeticamente stralunata “Baptize me in the fire”.

Confezione in digipack, colla solita cura (che mai potrò lodare compiutamente, in quanto ogni nuova uscita suscita in me ammirata stupefazione), esibita dall’ottima Nomadism Records. AM


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