Dopo una parentesi cogli Sweet di Steve Priest culminata con l'album
"Live! In America" del 2009, il chitarrista rimette in pista
i suoi Heaven And Earth e torna con un grandissimo album di classico
hard rock che proietta quanto già espresso nei precedenti due
albums su livelli ancor più alti ed intensi, e non a caso questo
nuovo lavoro è più il risultato di una collaborazione
di insieme che un progetto da solista.
Accompagnato da una band stabile che vede al microfono Joe Retta (The
Sweet), al basso il veterano Chuck Wrignt (House Of Lords, Quiet Riot,
Whitesnake, etc), alla batteria l'esperto Richie Onori (The Sweet,
Satyr, Steve Lukather, Paul Rodgers, Bobby Kimball, etc) e alle tastiere
Arlan Schierbaum (Joe Bonamassa, Beth Hart, Richie Kotzen, John Hiatt,
etc), Stuart Smith mette a pieno frutto le lezioni impartitegli al
tempo da Ritchie Blackmore e marchia a fuoco un album che ci proietta
in un periodo in cui ancora molto era ancora da scoprire e dire, quando
le canzoni non erano ancora composte da algoritmi o assemblate da
gruppi di psicologi, tutto realizzato sotto l'attenta direzione del
produttre David Jenkins (Metallica, Slayer, etc).
I riferimenti ai Rainbow e ai Deep Purple restano come trait d'union
con le sue precedenti releases, ma le nuove composizioni superano
quanto già di buono conosciamo e ci fanno sognare e gongolare,
cullati da caldi soffi di Hammond, da fiammeggianti chitarre, da una
sezione ritmica impeccabile e fantasiosa, da un vocalist dotato di
una voce roca e graffiante, sorta di novello Joe Lynn Turner senza
esserne una copia carbone.
L'apertura è affidata al mid-tempo "Victorious",
introdotto da un ipnotico passaggio strumentale dalle influenze orientali,
un epico e drammatico hard rock che richiama sia i Rainbow di "Stargazer"
che i Led Zeppelin di "Kashmir" filtrati attraverso lenti
purpleiane, i quali ultimi vengono chiamati in causa nel più
dinamico bridge dell'assolo e, se chiudete gli occhi, vi sembrerà
di vedere Blackmore e Lord duellare come nei primi anni settanta.
La seguente "No Money, No Love", scelta quale primo singolo
e video che trovate comodamente su YouTube, è più orecchiabile
e fruibile come i Rainbow con JL Turner sapevano essere al periodo
di "Difficult To Cure", e, grazie agli accattivanti riffs
e refrains, resta immediatamente impressa nelle orecchie come un tormentone
di classe e anche qua la porzione solista è da manuale.
"I Don't Know What Love Is" è una mirabile ballad
anni ottanta estratta dal songbook di Journey e Foreigner, e gli archi
sintetizzati che sentite sono stati arrangiati e suonati da David
Paich (Toto) che conferisce all'appassionato cantato di Retta di potersi
esprimere al meglio. Lasciate tranquillamente il volume alto per assaporare
anche le parti corali messe in campo per un'orchestrazione magnifica
e piena di pathos. Un altro ospite illustre è Richie Sambora
(Bon Jovi e per qualche tempo cognato dello stesso Smith) che suona
il talk box, la slide guitar e qualche altra parte nella veloce "Man
And Machine", dedicata al boss della label e alla sua passione
per le automobili, divertente rocker che aggiunge dinamicità
e simpatia all'album.
"House Of Blues" torna su tempi più pacati e anni
settanta, con l'Hammond ancora grande protagonista delle trame melodiche,
un collante indispensabile all'economia di molti brani di "Dig"
e ancor più in questo intenso hard rock blues dal grande impatto
emotivo nel quale si ritaglia un meritatissimo spazio da solista.
I Deep Purple di "In Rock" e i Rainbow di "Difficult
To Cure" trovano ideale sintesi nella dinamica "Back In
Anger" buon hard rock spigliato e carico di energia. A sorpresa
"Waiting For The End Of The World", sorretta da un maiuscolo
Onori, ci offre sprazzi dei primi Kansas e assaggi di hard rock pomposo
fine anni settanta della sponda americana.
Non si conoscono cali di sorta e la tracklist prosegue con la cangiante
"Sexual Insanity", sempre classica nella sua struttura e
sempre con una sorpresa quando il cantante lascia i riflettori ai
soli musicisti, e con l'esplosiva "Rock & Roll Does"
dai forti accenti blues che emanano una grinta genuina ed irresistibile.
"A Day Like Today" stupisce inizialmente con leggiadre movenze
strumentali e vocali non lontane dai Richie Blackmore's Night, fortunatamente
non manca il giusto nerbo e questa decima traccia concede una meritata
pausa folk dopo tanto furore e sudore, un modo per rifiatare e riprendere
a marciare con ritmo ed energia con "Good Times" arricchita
da indomite chitarre acustiche che accompagnano il gran lavoro ritmico,
il turgido Hammond e il vibrante cantato di Retta.
Le ultime note spettano a "Live As One", eccellente ballad
nella quale suona l'ospite Howard Leese (Heart) che ha già
collaborato con Smith in passato, un brano ispirato ai maestri Foreigner
che, però, probabilmente non è sufficientemente forte
da essere posta in chiusura di un album che lotterà per il
primo posto nell'ideale classifica dei Top 3 annuali.
Sia che abbiate amato (o amiate ancora) i Deep Purple e i Rainbow,
sia che vogliate 'semplicemente' avere un disco suonato con la classe
inimitabile dei grandi, fatevi sotto e procuratevi "Dig"
sia da iTunes che tramite Amazon (se scegliete il negozio inglese
risparmierete quasi la metà dei soldi rispetto all'italica
versione... non aggiungo altro se non il suggerimento di arrivare
a 19 sterline per avere azzerate le spese di spedizione. Questo coi
prezzi del momento in cui scrivo la presente recensione).
Resta l'augurio che questa formazione possa durare e restare compatta
sia in previsione di futuri concerti che di auspicabili ulteriori
dischi in studio.
Complimenti anche per la bella copertina! ABe
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