Gli
Hands sono una band americana proveniente dal Texas e si forma alla
metà degli anni ’70. Nel 1977 esordiscono con un disco
che fa parlare di se, grazie alle numerose affinità con i Gentle
Giant, dal titolo “Hands”. Le parti strumentali e le lunghe
composizioni sono il loro piatto forte, il tutto supportato da una
buona tecnica strumentale. Essendo il 1977 il periodo della fine del
Progressive Rock, gli Hands hanno scelto quello peggiore per esordire.
Infatti il disco è a tratti superlativo, malgrado tutto non
riceve l’attenzione (e le vendite) che merita.
Ovviamente cala il buio sulla band, la quale assieme al genere, risorge
più avanti, ma non negli anni ’80 dei Marillion, piuttosto
gli anni ’90 a cavallo del successo di band come i connazionali
Spock’s Beard. Non a caso certe sonorità sono compatibili.
Nel 1996 è la volta di “Palm Mystery” e per la
nostra sorpresa, ripresenta una band perfettamente oleata e compatta,
come se il tempo si fosse fermato. Sempre dritti nella loro strada,
non scendono a compromessi e restano ancora una band di nicchia, la
classica per intenditori, sfoggiando fra le proprie note affinità
con band tipo Happy The Man, King Crimson, Jethro Tull, PFM, Gentle
Giant , Kansas e molte altre ancora.
Servono altri sei anni per tornare in studio, questa volta per realizzare
“Twenty Five Winters”, ennesimo disco dalle grandi canzoni,
ovviamente consigliato a tutti cultori del genere. Nel 2008 è
la volta di “Strangelet”, anche in questo caso nulla da
eccepire, la band sembra godere di un dono raro, quello di saper scrivere
canzoni dalla struttura non proprio semplice, abbinandole con la metodicità
di passaggi memorizzabili. Questa comunque sia è una prerogativa
tipicamente americana.
La band è composta da Michael Clay (tastieree sax), Mark Cook
(Warr Guitar), John Fiveash (batteria), Ernie Myers (Voce e chitarra),
Martin McCall (drum kit e percussioni) e Steve Powell (basso e tastiere).
Il cd è suddiviso in sette tracce e la produzione è
più che soddisfacente. “Strangelet” apre il disco
con personalità e se dobbiamo proprio cercare dei punti di
riferimento, qui rivolgiamo lo sguardo verso i Rush misti ai The Flower
King, il che la dice lunga su quanto proposto dai nostri amici texani.
Ma il brano che prediligo è “Dark Matter”, con
i suoi 15 minuti di cambi umorali, dove passaggi acustici si alternano
con momenti addirittura Hard e perfino jazzati.
“Running Room” è robusta, con un buon riff ed un
Hammond che la rende graffiante. Curiosa la scelta vocale, in quanto
riconduce ai Beatles e qui mi riallaccio al discorso della scelta
degli americani verso melodie orecchiabili. Tanto materiale davvero
per gli appassionati di Prog, a seguire si denoteranno pezzi alla
King Crimson e Spock’s Beard , come in “Miracle In The
Mind”.
Il Progressive Rock è sempre stato un genere poco seguito dagli
anni ’80 in poi ed è rimasto a tutt’oggi un genere
di nicchia. E’ un peccato? E’ Una fortuna? Questo non
sta a me decretarlo, invece mi compete di segnalarvi questo ennesimo
dico di grande musica, ancora una volta passato ingiustamente in sordina.
Cercatelo. MS
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