Abbiamo
già incontrato molti gruppi che ripercorrono le polverose strade
musicali degli anni ’70 e ’80, nostalgici, regressivi,
obsoleti, antimoderni? Forse, ma per me quello che conta è
con quanta passione lo fanno e quanto la loro musica sia credibile.
Questi ragazzi vengono dall’Irlanda e in un certo senso assomigliano
ai conterranei The Answer, coi quali hanno diviso anche lo stage,
ma sono molte le band con cui hanno suonato, fino ad arrivare anche
nel nostro paese sul carrozzone del Gods of Metal. Nella loro discografia
hanno già tre album col presente e due Ep.
Il sound di questi giovani musicisti sembra un insieme di Motorhead,
Ac/Dc, Thin Lizzy, tutto condito da un taglio abbastanza moderno,
quindi non troppo nostalgico. Ecco allora che l’opener “That
Line” mostra sonorità vintage mescolate a altre più
contemporanee e tutto funziona bene. Ma la scossa arriva con la diretta
“Knockout”, che ricorda molto gli Ac/Dc, peccato per il
ritornello non riuscito, che toglie al brano la tensione elettrica
costruita col bel giro di chitarre. “Jack Strong” è
un bluesaccio anfetaminizzato, che nell’assolo svela appieno
la sua vocazione. Vincente il giro melodico di “Innocent Eyes”,
che esce con grande naturalezza, evidentemente questi ragazzi hanno
classe e lo dimostrano anche nella più irruenta “Make
a Change”. Meno immediata è la psichedelica “The
Bitter End”, che propone un buon lavoro di chitarra, ma le linee
melodiche del cantato penetrano poco. “Back to the Water”
è una ballad elettrica tutt’altro che scontata. Altra
bella canzone è “One of Us”, che unisce un giro
di chitarra originale a melodie vocali old fashioned di ottimo gusto.
Il finale con “Always the Loser” e la title track l’ho
trovato un po’ in calo, migliore la seconda, che ha un bel solo
di chitarra, ma le cose migliori sono apparse prima.
L’album contiene anche tre bonus tracks piuttosto psichedeliche
e meno dirette del repertorio precedente. In questi territori la band
mi sembra meno convincente e meno capace di gestire certe atmosfere,
magari in futuro riusciranno a gestire meglio queste sonorità.
Ad essere sinceri ho sentito cose migliori fra i giovani che cercano
di riproporre sonrità seventies, in particolare da molti gruppi
svedesi e anche da gruppi italiani, ma bisogna riconoscere a questi
Glyder di avere personalità, con l’augurio di riuscire
in futuro a dare una accelerata al loro sound, che è già
pronto al grande salto, ma manca ancora qualcosa. GB
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