Tornano
i Galleon, torna il Prog degli svedesi e con loro le storie di passaggi
musicali a volte semplici e a volte intricati. Un ritorno gradito
dopo quattro lunghi anni dal doppio concept “From Land To Ocean”.
La musica è sempre legata al loro stile, cara al New Prog di
band come gli Arena, i Marillion, ma anche molto legata alle tematiche
anni ’70, dettate da band come Yes, Genesis e perfino dell’Hard
Prog alla Rush. Molti ingredienti dunque in questo piatto, si rischia
l’indigestione, ma così per fortuna non è. Questi
artisti sanno legare il tutto con spiccata personalità ed una
furbetta dose di melodia, più accessibile a chi di Prog non
vive.
La formazione del bassista cantante Goran Fors è la stessa,
segnaliamo solo l’ingresso del nuovo batterista Goran Johnsson.
Le tastiere di Ulf Pettersson sono sempre presenti ed a volte salgono
prepotentemente in cattedra, pur senza strafare. I brani non sono
di lunga durata, solo in sporadici casi si raggiungono i nove minuti.
Gradevoli e commerciali “The Assemblers” e “Signals”,
per giungere a qualcosa di più impegnato e ricco di riferimenti
storici, bisogna giungere alla bella “Engines Of Creation”.
La chitarra di Sven Larsson ci regala un solo davvero tagliente, al
limite del Metallo. La musica di “State Insane” ha passaggi
genesiani, riconoscibili nei frangenti più delicati e corali,
dove l’arpeggio di chitarra ricorda non poco Steve Hacckett,
ma anche altri vigorosi ed epici. I Galleon si cimentano in diverse
categorie emozionali, a dimostrazione di un possesso di composizione
davvero maturo. Nell’ora di ascolto sono davvero pochi i brani
di riempimento, forse se ne poteva fare a meno di “Fog City”,
ma il quartetto finale di canzoni fanno godere alla grande. Bella
la breve strumentale “The Cinnamon Hidea Way” si raggiungono
poi le emozioni maggiori con “Men And Monsters”, contenete
gli insegnamenti Pinkfloydiani. Ancora chitarre in evidenza con “Machine
Mother”, uno dei momenti più Hard del disco, pur sempre
restando nei confini del Prog prettamente melodico. Si chiude alla
grande con i nove minuti di “Lightworks”, riassunto di
diverse generazioni Rock, tutte presenti in questo piccolo gioiello
sonoro.
In definitiva siamo nuovamente di fronte ad un disco ottimo, ma senza
picchi degni di un prodotto passato alla storia. Stiamo qui ancora
una volta a parlare di un buon momento musicale, sincero e ben confezionato.
Molti di voi (e qui mi ci metto anche io) si potrebbero accontentare,
i più esigenti sono sicuro che storceranno il naso. Comunque
bravi. MS
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