Terzo lavoro per i genovesi Fungus, autori di un dark prog a tinte
forti, una band che ha scelto di provocare su temi religiosi, non
a caso il disco precedente si intitolava Better Than Jesus, mentre
la grafica del presente sembra richiamare il gesto di un improbabile
sacerdote che tiene tra le mani una particola poco ortodossa, in un
contorno di angeli osceni, demoni e colori sgargianti. Un’apocalisse
che poi il gruppo riporta nelle proprie musiche, con testi (neanche
tanto velatamente) satanici.
L’apertura è affidata alla title track, un brano in perfetto
stile dark prog, una traccia davvero complessa e ricca di sfumature,
tanto che è difficile farne una sintesi esaustiva, si passa
da un prog sabbatico ad escursioni lisergiche per finire con un hard
rock incalzante, mentre il cantato è teatrale e volutamente
drammatico. “Gentle Season” parte con un giro di tastiere
che ricorda il clavicembalo e ci cala in un tempo dimenticato, poi
una chitarra acustica e il cantato ci trasportano nel folk anglosassone
piuttosto riuscito, ma anche questa volta ci sono momenti molto diversi
tra loro e il brano continua a cambiare forma, mantenendo come unico
punto fermo un andamento sofferto. “The Great Deceit”
sembra una ballata alla Nick Cave, solo un po’ più disperata,
il finale è un po’ brusco. “Rain” all’inizio
è molto dark, con reminiscenze di gothic ottantiano nel cantato,
poi c’è un bel giro di tastiere, molto evocativo, che
lancia la seconda parte del brano, un rock progressivo molto sofferto
ed efficace. “The Key of the Garden” sembra un tributo
a certe sonorità degli anni sessanta, fra psichedelia e garage
beat. “Share Your Suicide” invece ha delle sonorità
che sarebbero piaciute molto ai Goblin, mistero e suspence fuse in
modo convincente, non male poi l’uso del theremin, che aggiunge
quel tocco in più che ci sta proprio bene. “Angel With
No Pain” è un’altra power ballad gotica dal testo
molto oscuro, l’andamento è perfettamente settantiano.
Altro brano dal testo volutamente discutibile è “Better
Than Jesus” (si lo stesso titolo del disco precedente), la canzone
è straniante e molto acida, il giusto compendio alle parole?
“Requiem” è molto obituary blues (scusate ma mi
piace citare i grandi Groundhogs), o se preferite un sabba blues ancora
una volta molto azzeccato. Gran finale con la complessa “The
Sun”, summa sonora di quanto è capace questa band.
Se il mio giudizio si basasse solo sulle musiche mi sentirei di raccomandare
caldamente il presente disco a tutti gli amanti dei suoni oscuri e
tormentati, che vanno dal prog alla psichedelica, per quanto riguarda
le liriche e l’iconografia ho più di qualche riserva
e devo dire che da questo punto non mi sono piaciuti molto, anche
perché li ho trovati molto poco originali in questo senso,
ma nessuno è perfetto. GB
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